A cura di @Lowresolution.
Un articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere parte da una sentenza della Corte dei Conti, che ha bloccato la pensione gonfiata di un sindacalista, per svelare come i sindacalisti arrivano a triplicare la propria pensione. Il meccanismo è noto: come per molti dipendenti pubblici, a ridosso della pensione, in breve tempo lo stipendio viene aumentato per aumentare la pensione ancora calcolata con il metodo retributivo.
Il rapporto di lavoro «fisso e continuativo» è smentito anche dall’incremento «assai cospicuo» portato all’incasso da quel sindacalista «passando nell’arco di 14 mesi dall’iniziale compenso mensile di euro 2.000 (settembre-dicembre 2009)» a ben 8.000 «a ridosso del collocamento in quiescenza, senza che in tale breve arco di tempo risultino essersi verificate variazioni negli incarichi». Di fatto è un’accusa: la quadruplicazione dello stipendio alla vigilia della pensione, per la quale vale in questi casi l’ultima busta paga, fa pensare a una manovra per mettere a carico dell’Inps, cioè dello Stato, cioè dei cittadini, una pensione gonfiata.
Verdetto alla mano, l’Inps va a controllare un campione di 119 pensioni decorrenti dal 1997 al 2016. Salta fuori che, contando i contributi aggiuntivi nella «quota A» invece che nella «quota B», c’è chi ha avuto un incremento del 18,9% (il minimo), chi del 37,5%, chi del 55,5%, chi del 62,5% fino al record. Con i criteri della Corte dei Conti il «soggetto 18» della Cisl (il sindacato di Raffaele Bonanni, i cui ultimi stipendi sollevarono un putiferio) dovrebbe prendere, come dicevamo, 39.282 euro ma ne prende 114.275. Il 190,9% in più. Il triplo.
Il ministero del Lavoro per un po’ ha traccheggiato, poi ha deciso che saranno posti dei limiti, ma solo per il futuro. I sindacalisti prima in rivolta, hanno festeggiato.
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