Su suggerimento di @perte.
Lo Spiegone racconta le azioni legali intentate contro la compagnia statunitense Texaco, che tra 1972 e 1992 sfruttò i pozzi petroliferi della provincia di Sucumbios, in Ecuador.
Durante questi 20 anni, le operazioni di estrazione produssero 64 miliardi di litri di acque reflue contaminate che la compagnia riversò nei fiumi e in circa 1000 fosse a cielo aperto scavate nel suolo senza rivestimenti isolanti. Anche la pratica, a basso impatto ambientale, della reimmissione nel sottosuolo dei gas derivati come sottoprodotto dall’estrazione non venne attuata, preferendo la costruzione di 300 torri di combustione (mecheros) che ancora oggi continuano ad avvelenare l’aria. A questo si aggiungono circa 650.000 barili di greggio versati lungo le strade per creare una sorta di asfalto low-cost lungo le rotte di trasporto. La motivazione di tale comportamento è di chiara natura economica. La messa in atto di tecniche di protezione ambientale hanno e avevano un costo, stimato successivamente di circa 3 dollari per ogni barile estratto, per circa un miliardo e mezzo di barili estratti fino al 1990. La texaco decise deliberatamente di non assumersi questo onere, per ridurre al minimo i costi di estrazione e massimizzare i propri profitti che ammontarono a circa 25miliardi di dollari.
Immagine da Wikimedia.
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