A cura di @yoghi.
Su Industria Italiana, Filippo Astone analizza nel dettaglio la nuova politica Industriale del governo delineandone punti di forza e debolezze.
Sembra importante innanzi tutto che si ricominci a parlare d’industria e si ponga seriamente il problema al centro del dibattito nazionale, cosi come si può ritenere apprezzabile il metodo scelto e l’idea di consultare e riunire istituzioni, università, associazioni di categoria e aziende per un progetto comune che riguarda il futuro dell’Italia.
Guardando alle misure messe concretamente in campo, da un lato l’uso massiccio della leva fiscale (36 miliardi di sgravi fiscali se le cifre fossero confermate) per incentivare investimenti privati ad alto contenuto tecnologico permetterebbe tempi rapidi e risultati certi in termini di ammodernamento della base produttiva del paese.
Dall’altro manca ancora quello che Astone identifica come la base di una vera e propria politica industriale nazionale: una rete di laboratori di ricerca nazionali che si occupino proprio della ricerca di base, senza aspettarsi un ritorno economico su cui si andrà ad innestare l’attivita di ricerca e sviluppo privata.
Il governo ha effettivamente identificato 7 “centri di competenza” su cui impostare l’attività di ricerca (Politecnici di Milano, Torino e Bari, università di Napoli e Bologna, Sant’Anna di Pisa, Università Venete consorziate), tuttavia le cifre stanziate per sviluppare il progetto sono piuttosto basse: 30 Milioni di euro per il Biennio 2017-2018 da dividersi tra i 7 centri, a cui dovrebbero aggiungersene altri 30 nel biennio successivo. Siamo quindi abbastanza lontani da una svolta per quel che riguarda la ricerca pubblica in Italia.
Si renderebbe necessaria quindi una fase due, promessa dal Ministro Calenda in un’intervista rilasciata al Corriere, dove però mancano esempi di impegni concreti.
Immagine di Secl, CC BY 3.0, da Wikimedia Commons
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