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Il teatro al tempo del coronavirus

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Un articolo apparso sulla rivista “Gli Asini” parla delle conseguenze della pandemia sul teatro e quali strade possa intraprendere per superare la crisi.

Le fabbriche e le attività produttive sono state le ultime a chiudere, quando hanno chiuso, e le prime a riaprire. I teatri invece sono stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire. Le chiese hanno ricominciato le loro funzioni religiose quasi un mese prima dei teatri.  Se non fosse per l’arrivo dell’estate, il teatro avrebbe fatto compagnia solo alla scuola, visto che le discoteche, contro ogni logica, sembrano godere di uno statuto speciale, almeno fino a quando non è sopraggiunto inesorabile il macigno della realtà. L’emergenza del Coronavirus ha sbattuto in faccia due incontrovertibili evidenze: il teatro non è un’attività essenziale, il teatro è un luogo di contagio. Se ne potrebbe aggiungere una terza, considerando la decisione del governo di mantenere quasi inalterato il finanziamento pubblico, nonostante l’interruzione delle attività, e di elargire a pioggia contributi economici anche a realtà piccolissime, solitamente escluse dai finanziamenti ministeriali: il teatro dà da mangiare (in maniera assai diseguale) a un numero non indifferente di persone.

Immagine da Pixabay


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