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Informatica quantistica: la sovrapposizione quantistica, spiegata bene (1) – di @unit

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Questo è il primo di una serie di tre articoli mirati a esporre anche a chi non ha basi universitarie di matematica e fisica alcuni concetti di informatica quantistica: l’entanglement, i computer quantistici e perfino il teletrasporto. In questa prima parte cercherò di descrivere uno dei fenomeni più elusivi e incomprensibili della meccanica quantistica che ci servirà nelle prossime puntate: la sovrapposizione di stati.

Partiamo da un’astrazione: il bit. Intuitivamente ormai tutti sanno cos’è un bit: è un qualcosa che può essere in due stati, normalmente chiamati 0 e 1. Il cosa realizzi un bit, il suo substrato fisico, non è importante: ciò che ci interessa è che possiamo descrivere questo qualcosa con sole due etichette: può essere un interruttore acceso o spento, una freccia che punta verso l’alto o verso il basso o qualunque cosa possa esistere in due soli stati ben distinti. Possiamo fare un disegnino che rappresenta un bit con due punti e nessuna struttura: questo è lo spazio delle possibili configurazioni del bit. Piuttosto semplice.

drawing-1Nella sua semplicità il bit rappresenta bene come percepiamo il mondo e come lo descriviamo: un oggetto o sistema fisico è in uno stato, che può essere descritto da uno o più bit o in generale da un certo numero di punti: i pixel di un’immagine, la distribuzione e stato dei neuroni di un sistema nervoso centrale, la posizione e velocità delle molecole che costituiscono una mela, etc. L’osservazione non è nient’altro che un processo che ci permette di conoscere lo stato in questione, non ha nessun effetto sull’oggetto misurato e qualunque forma di incertezza risiede nella nostra ignoranza di uno stato che è oggettivo e reale, cioè che esiste indipendentemente da chi lo misura e quando.

Questo modo di descrivere il mondo, che ci sembra talmente basilare da essere inevitabile, ha incominciato ad essere messo in crisi da una serie di esperimenti a partire dai primi del ‘900 che hanno portato in pochi anni alla formulazione di una nuova teoria sul come descrivere la realtà fisica: la meccanica quantistica.

Il come si sia giunti alla MQ è molto interessante e appassionante, ma è un’altra storia. Saltiamo subito alle conclusioni: un bit quantistico (qbit), il nostro nuovo modo per descrivere la realtà, non è più descritto da due punti, ma da due frecce lunghe una unità, perpendicolari tra loro.
drawing-2Detto così sembra solo un modo per complicare inutilmente le cose: ma in realtà significa che stiamo dando una struttura all’insieme degli stati del nostro qbit e diventa lecito chiedersi cosa rappresentano le direzioni intermedie. Per esempio: cosa rappresenta una direzione inclinata a 45%?

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La regola, alla quale si è arrivati dopo diversi anni di esperimenti e teorie, è che il quadrato della lunghezza delle freccette ortogonali che compongono la freccia obliqua è la probabilità di osservare lo stato corrispondente quando misuro un qbit. E’ più complicato da spiegarsi a parole che non da capire con un diagrammino. drawing-4Seguendo la figura parto dal mio stato misterioso rappresentato da una freccia obliqua lunga uno, proietto lungo le frecce ortogonali e ottengo due frecce. lunghe in questo caso radice di un mezzo (per il teorema di Pitagora). Se elevo al quadrato ottengo un mezzo, il 50%, che è la probabilità di ottenere 1 o 0 se misuro il qbit nel misterioso stato obliquo. Portate pazienza per l’elevazione a quadrato, non è necessario per capire il tutto a questo livello, ma se si vogliono fare degli esempi numerici serve per far tornare i conti: spiega anche perchè la freccia dello stato deve essere lunga uno: la somma delle probabilità, ovvero la somma dei quadrati dei lati del triangolo rettangolo, deve dare uno, la certezza.

Per distinguere gli stati quantistici di un qbit da quelli classici di un bit si usa un simbolismo che richiama le frecce: al posto di 0 e 1 abbiamo |0> e |1>. Seguendo questo simbolismo lo stato obliquo è |0> + |1>: si dice che il qbit è in una sovrapposizione quantistica di stati.

Quelli tra voi che credono di saperla più lunga penseranno: “ah, ma è solo probabilità! Tutta qui la MQ?”. Bene, non è così semplice. Il fatto è che diversi esperimenti e l’assetto matematico della teoria portano a poter dimostrare che un qbit “obliquo” non è in nessuno stato tra i due, ma si comporta come se non fosse in uno stato preciso fino a che non è misurato. Se siete confusi sappiate che siete in buona compagnia, l’interpretazione di questo fatto è stato ed è tuttora oggetto di acceso dibattito da cento anni tra i più grandi fisici dell’umanità. Vediamo come si è giunti a questa affermazione.

Nella nostra semplificazione che ci ha portato prima al bit e poi al qbit abbiamo trascurato il fatto che i sistemi fisici sono descritti da più quantità. Ad esempio una particella possiede posizione, velocità, carica ed altre quantità che possono essere misurabili. Una particella classica è semplicemente descritta da più bit indipendenti: ad esempio se una particella può essere nel punto X o nel punto Y e avere la velocità V o la velocità W useremo due bit per descriverne lo stato: uno per la posizione e uno per la velocità. Quindi se la nostra particella è nel punto X e ha velocità W il primo bit sarà nello stato X e il secondo W.

Il fatto straordinario è che nel caso quantistico invece si usa un solo qbit. Apparentemente sembra un controsenso: abbiamo complessivamente quattro stati (XV, XW, YV, YW) ma usiamo solo due direzioni perpendicolari. Qui entra in gioco il valore della struttura che abbiamo introdotto nelle frecce: supponendo di usare le direzioni originarie perpendicolari per le due posizioni X e Y le direzioni che rappresentano le misure della velocità sono inclinate di 45 gradi. Questo vuol dire che lo stato non sovrapposto per la velocità |V> è uguale allo stato sovrapposto per la posizione |X>+|Y>.drawing-5

Cerchiamo di capire le conseguenze di questo fatto provando a fare qualche esperimento mentale. Partiamo da una particella che abbiamo accelerato fino alla velocità V. Ovviamente se ne misuriamo la velocità otterremo di nuovo V. Che succede se ne misuriamo la posizione? Dato che lo stato quantistico che corrisponde alla velocità V è |X>+|Y> avremo una probabilità del 50% di misurare X o Y. Diciamo che dalla misura esca Y: la particella è nella posizione Y e quindi lo stato che la descrive è la freccia verticale |Y>. Che succede se adesso misuriamo di nuovo la velocità? L’intuito ci direbbe che la velocità sia rimasta la stessa, V. Ma proviamo ad applicare la regola delle lunghezze: la freccia verticale non coincide con nessuno dei due stati |V> e |W>, ma, di nuovo, uno stato sovrapposto |V>+|W>: quindi la proiezione sulle due frecce è radice di un mezzo, e quindi la probabilità di ottenere V o W è del 50%.

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La particella quantistica non può essere contemporaneamente in uno stato in cui è definita la posizione e la velocità: possiamo avere certezza di una o dell’altra, ma mai di tutte e due. Questo si chiama principio di indeterminazione di Heisenberg.

Naturalmente nella realtà si è proceduto a ritroso rispetto alla nostra spiegazione: si sono fatti esperimenti e, per farla semplice, si vedeva come non fosse possibile inchiodare una particella contemporaneamente in una posizione e una velocità. Cercando di descrivere questi risultati piano piano si è giunti ad un modello matematico che abbiamo semplificato (ma non moltissimo) con le nostre frecce. Questa caratteristica della realtà fisica è, perlomeno per me, straniante dato che l’indeterminazione è reale, non riguarda una nostra incapacità di conoscere uno stato che però esiste: diversi esperimenti e teoremi rafforzano ulteriormente il fatto che la particella non è in uno stato classico definito, se ne conosciamo la velocità non è in nessuna posizione particolare, ovvero è come se fosse contemporaneamente in tutte le posizioni possibili.

Vorrei avere una conclusione sagace che esprima in poche righe il significato di questo fatto, ma sfortunatamente non ce l’ho. I risultati sperimentali sono talmente controintuitivi che è difficile venirne a patti, e in effetti i fisici si dividono in due categorie: i primi, la stragrande maggioranza, che usano le frecce come strumento per descrivere il mondo, e i secondi, che cercano di trovare un’interpretazione all frecce. Direi che per il momento i secondi, quelli che cercano una interpretazione, sono più filosofi che scienziati, e alla fine ne discutono da quasi cento anni senza grossi risultati. Noi seguiremo la strada dei praticoni e useremo la nostra ormai consolidata comprensione della sovrapposizione quantistica per descrivere un fenomeno ancora più controintuitivo: l’entanglement. Alla prossima puntata.

 

Disclaimer per gli esperti – lo so: vettori reali e non complessi, confusione sulla normalizzazione, gli operatori di posizione e momento così descritti non esistono o se esistessero sicuramente non avrebbero quelle regole di commutazione. Non è un manuale di MQ, ok? Lo scopo è cercare di far capire, e con qualche trucco secondo me ci si può riuscire.

Immagine da flickr.

 

 

 


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