Nonostante sia uno dei filosofi che abbiamo letto con più interesse, e a volte convinzione, arrivati alla fine del libro ci siamo accorti di non avere dato spazio ad Andreas Malm: il discorso aveva seguito altri fili, e andava bene così (almeno lo abbiamo aggiunto in blbliografia per rimediare).
Andreas Malm è un ricercatore di Human Ecology all’Università di Lund, attivo ormai da più di un decennio. Negli anni Malm è passato dalla pura dissertazione teorica alla chiamata alle armi (in senso molto lato). La conseguenza logica di The Progress of This Storm – il suo saggio del 2017, ne parlammo anche sul Tascabile – è stata l’arringa in difesa al sabotaggio delle macchine dell’economia carbonfossile argomentata nel suo ultimo pamphlet, How to Blow Up a Pipeline.
Lì Malm ricostruisce la parabola dei movimenti ecologisti attivi ai tempi del primo Summit della Terra, dai primi anni Novanta fino agli anni delle Cop (Conference of the Parties) in giro per il mondo, le Kyoto e le Parigi, all’egemonia pre-pandemica di Extinction Rebellion e Fridays For Future: gli scioperi sono serviti a qualcosa, ma hanno fallito nell’obiettivo più importante, la riduzione delle emissioni globali di gas serra. Ecco allora lo scatto nella proposta di Malm: il pacifismo strategico, adottato come metodo esclusivo di protesta, girerà sempre a vuoto: è l’ora della diversificazione, del boicottaggio, della “non violenza strategica”. Ferire le cose, non le persone. Un messaggio da tenere in considerazione ma problematico per diversi motivi, troppi per approfondirli in questa sede.
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