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L’invenzione delle protesi in movimento prima della robotica

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Greta Plaitano su L’Indiscreto parla dell’invenzione e sviluppo delle «protesi cinetiche».

Le prime sperimentazioni partono da un medico condotto toscano, Giuliano Vanghetti. Vanghetti, per scappare dalla vita di provincia, si imbarcò alla volta dell’Abissinia e qui, nel 1896, fu testimone della sanguinosa battaglia di Adua. L’ordine di Menelik ai suoi combattenti era di amputare la mano destra e il piede sinistro dei prigionieri di guerra:

Scioccato da queste terribili mutilazioni al suo rientro in patria il medico aveva iniziato a pensare a una soluzione. Una volta che un arto era perso, si poteva pensare di recuperarne in qualche modo il movimento? O l’unico modo era compensare alla vista del moncherino con mani e piedi finti, rifiniti da sapienti falegnami nei minimi dettagli ma comunque senza vita?

Nel suo studio ad Empoli Vanghetti decise di sviluppare una protesi che non fosse solo un riempitivo estetico. L’idea del medico era di praticare amputazioni precise, che salvassero muscoli e tendini potenzialmente ancora attivi, da collegare poi a protesi mobili. Questo sistema avrebbe permesso ai paziente di replicare parte o molti movimenti di tutti i giorni.

Vanghetti, che come tutti gli inventori geniali della storia – da Leonardo da Vinci a Marie Curie – oltre ad avere una mente matematica possedeva anche una grande immaginazione, inizia a sperimentare le sue visioni come può, applicando delle protesi di legno e ferro su cani, gatti e volatili, e iniziando a osservarne i primi risultati. Ma il primo opuscolo del 1898, inviato alle più importanti cliniche europee e società scientifiche d’Europa per chiedere fondi e supporto tecnico non ottenne alcuna risposta. Il medico ricorda nelle sue memorie di essersi per un certo periodo rassegnato al fallimento, accettando di passare “per teorico, visionario, disutile. Poiché a molti sembra che lo studioso sia un essere, se non dannoso, per lo meno a carico della società, specialmente quando sia dedicato a lunga ricerca di cose nuove”.

Gli sforzi del “dottorino” furono snobbati. La disciplina si ricrederà su Vanghetti solo davanti alle terribili conseguenze del primo conflitto mondiale, riunendo finalmente chirurgia e meccanica:

Le immagini di questo prodigio, possibile grazie alla mano Zerlini, mostrano giovani uomini vestiti di tutto punto intenti a stringere tra le dita fiaschi e bicchieri di vino, a sollevare sedie e secchi, a leggere i giornali, simulando una vita ordinaria che insieme nasconde e mette in scena l’orrore della guerra.


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