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La teologia è la madre della fantascienza

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C’è un collegamento fra la fisica, la religione e la fantascienza, scrive Stefano Jorio su L’Indiscreto. Nel diciassettesimo secolo alcuni autori – fra cui lo stesso Keplero – presero spunto sia dalla nuova descrizione dell’universo sia dalla filosofia bruniana, per provare a immaginare nuovi mondi, e porsi domande angosciose sul senso dell’esistenza e dell’alterità. Più recentemente, “Solaris” di Lem, con il suo pianeta pensante e inconoscibile agli strumenti scientifici, ha descritto un nuovo tipo di Trascendenza, e la fisica contemporanea sembra ripercorrere alcune vecchi schemi filosofici, parlando di inconoscibilità insuperabili e di energia alla base della materia. La fantascienza, oggi come quattro secoli fa, è anche modo per rispondere alle riflessioni avanzate da teologi e scienziati nel corso del tempo.

A partire dai romanzi di fisica, mano a mano che la metafisica perdeva il suo ruolo apicale di guida delle scienze e veniva respinta come secolare menzogna, la modernità vide una crescita ininterrotta dei racconti sull’«altra dimensione», o dimensione «parallela», con autori e percorsi che uno storico del genere potrebbe catalogare esaurientemente accanto a quelli della rassicurante fantascienza “cartesiana”, ambientata in un altrove solo apparente. Mano a mano che il sapere dimenticava il pensiero dell’essere e si addentrava nel nichilismo, la fantascienza – ma come vedremo anche la stessa scienza – immaginò in modo allegorico e quasi clandestino, con maggiore o minore consapevolezza, una “realtà” inquietante perché di essa possiamo sapere solo che è.


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