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La triste storia di una splendida collezione d’arte

La triste storia di una splendida collezione d’arte

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A cura di @NedCuttle21(Ulm).

Fino al prossimo 15 settembre, a Villa Necchi Campiglio, a Milano, sarà possibile visitare la mostra intitolata La stanza di Filippo de Pisis, una collezione di opere che tra gli anni ’30 e ’40 del secolo scorso Luigi Vittorio Fossati Bellani, un ricco borghese originario di Monza e appassionato d’arte e letteratura, riuscì a mettere insieme durante il suo lungo soggiorno romano. Il 23 marzo del ’44, Fossati Bellani fu tratto in arresto dai nazisti nel corso delle operazioni di rastrellamento che seguirono all’azione partigiana di via Rasella – nella quale è ubicato Palazzo Tittoni, il lussuoso edificio presso cui all’epoca dimorava il collezionista monzese; presto rilasciato grazie all’intercessione della sua prestigiosa famiglia, e scampato in tal modo all’eccidio delle Fosse Ardeatine, morì purtroppo il 3 aprile successivo, fortemente provato dall’episodio. In un articolo pubblicato su Internazionale, Daniele Cassandro ripercorre la storia di Fossati Bellani e della sua collezione, riflettendo sulla rappresentazione della lotta partigiana nell’Italia del dopoguerra.

C’è un quadro che è il cardine ideale della piccola, preziosa mostra La stanza di Filippo de Pisis, allestita fino al 15 settembre a villa Necchi Campiglio, a Milano. È una veduta del cancello di palazzo Barberini a Roma dipinta da de Pisis nel 1943. Il punto di vista, un po’ sghembo, da cui il pittore raffigura la cancellata è la finestra di un palazzo patrizio di via Rasella di cui era ospite. Era palazzo Tittoni, la casa dell’amico e collezionista Luigi Vittorio Fossati Bellani che in una stanza piena di arredi e oggetti preziosi aveva ammassato una collezione di opere di artisti che gli erano cari: oltre a de Pisis c’erano Antony de Witt, Ottone Rosai e Alberto Savinio. La stanza di Filippo de Pisis, curata da Paolo Campiglio e Roberto Dulio, ricostruisce la collezione romana di Fossati Bellani, dispersa dopo il 1961, alla morte del fratello Tullio che l’aveva custodita e fatta fotografare nel suo allestimento originale.

 


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