Tim Starks sul Washington Post illustra i risultati di uno studio recente sulle interferenze russe nelle elezioni statunitensi del 2016.
Lo studio, pubblicato su Nature Communications, ha preso in esame i cinguettii di attori legati alla «fabbrica dei troll» della Federazione Russa, analizzando numero, pervasività ed effetti su un gruppo di utenti Twitter.
I ricercatori notano che l’esposizione alle interferenze è stata rilevante: più del 70% degli utenti del campione ha visto almeno un messaggio di propaganda russa. I quasi 800.000 messaggi incriminati sono stati scaglionati in maniera progressiva: da circa 2mila al giorno all’inizio della campagna elettorale per arrivare fino a 24mila nelle ore del voto.
La diffusione dei messaggi è stata concentrata: un nocciolo dell’1% degli utenti (per lo più repubblicani) ha fruito del 70% delle interazioni con questi messaggi.
Ma gli effetti sul voto vero e proprio quali sono stati? Secondo i ricercatori, molto pochi. Non è stata trovata prova che la propaganda russa abbia influenzato atteggiamenti, polarizzazione e scelte voto degli elettori statunitensi. Gli sforzi si sarebbero persi su un piccolo segmento di elettori, tra l’altro già convinti a votare Trump:
«La mia sensazione personale è che la cosa sia stata sopravvalutata», mi ha detto Josh Tucker, uno degli autori del rapporto e co-direttore del centro dell’Università di New York, a proposito del significato dei tweet russi.
«Ora stiamo guardando i dati e possiamo vedere quanto questi si siano concentrati in una piccola porzione della popolazione, e come il fatto che le persone esposte a questi tweet fossero davvero, davvero propense a votare per Trump», ha detto Tucker. «E poi abbiamo questi dati che dimostrano che non c’è alcuna relazione tra l’esposizione a questi tweet e il cambiamento di atteggiamento delle persone».
I ricercatori evidenziano i limiti della ricerca (per esempio hanno analizzato solo un social network) e la possibilità che la propaganda si sia riverberata al di là del 2016, sfociando nelle contestazioni alla vittoria di Biden nel 2020.
Dati e programma sono disponibili su Github.
Su The Atlantic Charlie Warzel offre una prospettiva diversa. Gli interventi del governo russo non si sono limitati solo a Twitter, non si è trattato solo di messaggi, le interferenze non sono iniziate nel 2016, quindi bisogna essere cauti e non scartare nessuna ipotesi. In più ogni elezione è determinata da un coacervo di cause, un sistema difficilissimo da analizzare: come riassume il titolo, «forse non sapremo mai come il troll russi di Twitter hanno influenzato le elezioni del 2016»:
Lo studio dell’Università di New York non tiene conto di questa esposizione indiretta, come ad esempio i tweet dei troll inseriti in articoli di cronaca che vengono poi condivisi su Internet. «Solo perché non possiamo misurare l’impatto, non significa che non ci sia», ha detto Starbird.
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