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Lo stato precario delle aziende tecnologiche cinesi

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Gianluca Zapponini su Formiche commenta la situazione delle grandi aziende tecnologiche cinesi. Un bienno disastroso (pandemia, repressione, Ucraina) ne sta compromettendo il valore di Borsa, con conseguenze a lungo termine.

Aggrediti a suon di regole, tentate scalate, multe e nazionalizzazioni dal governo cinese, nel corso di questi due anni le grandi tech del Dragone hanno perso gran parte del loro valore in Borsa, assistendo spesso alla demolizione sistematica del proprio capitale, ai minimi dal 2008, l’anno di Lehman Brothers. Oggi l’impero fondato da Jack Ma vale il 66% in meno, Tencent il 50%. Non può stupire che Jp Morgan abbia sconsigliato gli investitori globali dall’avvicinarsi alle azioni di queste aziende, per i prossimi 6-12 mesi.

All’intervento del governo si sono aggiunti la guerra in Ucraina, la crisi energetica e l’inflazione. E, soprattutto, la pandemia è tornata a mordere la Cina, la cui strategia zero-Covid a suon di lockdown non ha certo portato benefici all’economia. In pochi giorni, il comparto tech cinese ha bruciato 100 miliardi di capitalizzazione. Ce ne è abbastanza per andare knock out.

Le aziende in questione stanno andando molto bene nell’ultimo periodo nei listini, ma per Zapponini questo sarebbe solo conseguenza di una politica di stimolo monetario. Le fondamenta sarebbero state minate dall’“interventismo” di Pechino; ora il governo cinese si trova di fronte a fare marcia indietro vista la congiuntura pessima nei mercati o continuare sulla via più severa, con il rischio però di far crollare delle aziende protagoniste della crescita economica e della prosperità comune di cui il Partito si fa gran vanto.


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