Il termine “colpo di stato” è nato in Francia (coup d’État), ma è stato il termine spagnolo golpe a diffondersi maggiormente in Italia, sulla scorta di quanto accaduto in sudamerica nello scorso secolo. Lucia Capizzi su Avvenire ne parla con Maria Rosaria Stabili, storica dell’Università Roma Tre, tra le pioniere degli studi latinoamericani in Italia.
Proprio nel vasto spazio compreso tra il Rio Bravo e la Terra del Fuoco, ora la categoria sta cambiando pelle, come dimostrano i recenti esempi in Perù e Brasile. Golpe 2.0, golpe di nuova generazione, neo-golpe, non c’è una definizione univoca. Di certo, però, il mutamento è in atto dalla fine della Guerra fredda. E, ancora una volta, potrebbero diventare una delle cifre del Ventunesimo secolo globale.
Sono due le caratteristiche innovative dei nuovi sussulti antidemocratici che li rendono così differenti da quelli del Novecento.
Primo, i rovesciamenti si smilitarizzano. Le forze armate tornano nelle caserme rinunciando al ruolo di “purificatori” dello Stato e della società. «Gli scontri sono interni all’arena delle istituzioni politiche e mettono in luce in luce la difficoltà del centro di entrare in relazione con le periferie »,
Nella regione, la difficoltà di trovare il baricentro dell’architettura istituzionale, lo scollamento tra popolo ed élite e, di conseguenza, la scarsa legittimazione delle amministrazioni nazionali e provinciali emergono in modo particolarmente drammatico. Sono questioni, però, che con accenti differenti caratterizzano la politica dell’attuale millennio ad ogni latitudine.
Anche la violenza è quindi a volte de-istituzionalizzata, lo Stato non ha più un ruolo di primo piano nella repressione illegittima
Secondo, i colpi di Stato nascono da dinamiche interne, il ruolo di Washington è marginale. «Se, durante la Guerra fredda, erano le grandi potenze ad influenzare, in modo più o meno deciso, i Paesi “satelliti”, ora le pressioni sembrano venire da reti sotterranee di tipo transnazionale» sostiene Massimo De Giuseppe, storico della Università Iulm e esperto di questioni latinoamericane. Il quasi simultaneo irrompere sulla scena politica di Donald Trump, Jair Bolsonaro, Viktor Orbán, Nigel Farage o Marine Le Pen sarebbe l’effetto di questi movimenti che trovano nella Rete e nei social i loro canali di collegamento, irradiazione e mobilitazione. Fino alle inquietanti somiglianze tra l’attacco a Capitol Hill e quello alla piazza dei Tre poteri di Brasilia a due anni di distanza. In questo caso, l’elemento “virtuale” è stato determinante. La folla bolsonarista che ha razziato le sedi di presidenza, Parlamento e Corte Suprema ha trascorso gli ultimi anni in una bolla di propaganda, fake- news e manipolazione. La post-verità è stata così potente da far tentare loro una battaglia persa in partenza. « L’assalto ai palazzi delle istituzioni brasiliane, in realtà, è stata un’azione di destabilizzazione meramente simbolica – sottolinea Stabili –. L’esito politico era secondario rispetto alla dimensione comunicativa».
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