Sul Jerusalem Post, un editoriale molto duro di Avi Mayer sugli gli ebrei che si schierano contro Israele nel conflitto con Hamas.
“Chiamiamo questi critici ‘a-ebrei’ perché credono che l’unico modo per compiere la missione ebraica di salvare il mondo con i valori ebraici sia annullare il modo in cui la maggior parte degli ebrei reali vive l’ebraicità”, hanno scritto Sharansky e Troy. “Non sono ex ebrei o non ebrei, perché molti di loro sono e rimangono profondamente coinvolti dal punto di vista ebraico, nonostante il loro duro dissenso… Per molti di questi a-ebrei, la messa in scena pubblica e comunitaria delle loro idee anti-israeliane e anti-sioniste sembrano essere il distintivo di una forma superiore di giudaismo, spogliato del suo sgradevole e immorale bagaglio “etnocentrico” e “colonialista”.
L’autore continua la disamina sul rapporto sempre più difficile tra le varie idee di ebraismo nel mondo, concludendo
(Q)ueste persone, le cui azioni mettono direttamente in pericolo il popolo ebraico, non fanno più parte di noi. Questa considerazione sarà immensamente dolorosa per le loro famiglie, le loro comunità e la nostra intera nazione. Come il mio amico Dan, molti di noi credono da tempo che valga la pena lottare per ogni ebreo. E come lui, considero queste righe tra le più difficili che abbia mai scritto. Ma le ultime settimane dal massacro del 7 ottobre hanno rappresentato un momento spartiacque, un punto di svolta nella storia del popolo ebraico e del suo più grande progetto collettivo nell’era moderna, lo Stato ebraico. È stata tracciata una linea di confine.
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