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Padri, padrini, padroni dell’AI

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Dare conto del dibattito in corso comporta una certa fatica. Una fatica espressa questa settimana dal giornalista Casey Newton, che nella sua ultima newsletter – intitolata Perché ho problemi a coprire l’AI – scrive: “Il motivo per cui ultimamente ho difficoltà a occuparmi di AI è che c’è un’elevata varietà nel modo in cui le persone che hanno esaminato la questione più approfonditamente pensano al rischio. Quando l’elenco dei possibili futuri va da un comunismo di lusso pienamente automatizzato alle rovine fumanti della nostra attuale civiltà, da dove dovrebbe iniziare il giornalista? (La risposta abituale è parlare con molte persone. Ma qui le persone interessate dicono cose molto diverse)”.

A questa prospettiva – disegnata da un settore in rapida e tumultuosa evoluzione, ma anche deformata da una quantità di tecnologie, prodotti e applicazioni molto diversi, tutti forzatamente fatti rientrare dentro l’asso pigliatutto chiamato AI –  aggiungerei il carico dell’hype mediatico e finanziario cui stiamo assistendo (del primo ho parlato qua – del secondo ne accenna questo podcast del WSJ in cui si dice che gli investitori stanno correndo a mettere soldi su startup di AI che non hanno nemmeno ancora né modello di business, né nome).

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