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Qual è il futuro della fisica delle particelle?

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Un lungo articolo pubblicato su Il Tascabile traccia un quadro del lavoro di ricerca nel campo della fisica delle particelle ripercorrendo al contempo la storia del Modello standard e degli acceleratori.

In principio fu il protosincrotone. In un suo reportage, Robert Jungk, futurologo e storico della scienza, lo chiamò “la grande macchina”. Entrò in funzione al CERN di Ginevra nel 1959. Una grande collaborazione europea con obiettivi nella ricerca nucleare “pura”, priva cioè di scopi di natura industriale, al contrario, per esempio, dell’EURATOM o CEEA, la Comunità europea dell’energia atomica costituita sempre in quegli anni.

Con un diametro di 200 metri, il protosincrotone era il più grande acceleratore di particelle al mondo. Un gigantesco microscopio e al tempo stesso un grosso martello, costruito per scoprire cosa si nasconde dentro le particelle che compongono gli atomi. Per farlo, un acceleratore accelera attraverso campi elettromagnetici una particella fino a velocità prossime a quelle della luce. Come prevede la relatività ristretta (esemplificata nella famosa equazione di Einstein E=mc2), all’aumentare dell’energia aumenterà anche la massa della particella: un ottimo modo per renderle più visibili ai rilevatori. L’energia raggiungibile dal protosincrotone era di 25 GeV (gigaelettronvolt), ossia 25 miliardi di elettronvolt: livelli prossimi a quelli esistenti pochi istanti dopo il Big Bang (per contro, la massa-energia di un atomo in atmosfera è di appena 0,03 elettronvolt). A queste energie, la collisione tra fasci di protoni – i costituenti di base dei nuclei atomici insieme ai neutroni – è in grado di generare particelle sconosciute, che a energie più basse come quelle presenti normalmente in natura non potrebbero esistere, perché destinate a decadere immediatamente in particelle più stabili di massa inferiore, oppure che non possono esistere da sole, come i quark, i costituenti ultimi dei protoni e dei neutroni. Come nella miglior tradizione del metodo scientifico, insomma, l’idea è quella di rompere le cose per capire di cosa sono fatte. E ha funzionato.

 

Immagine da Pixabay


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