Un articolo del biologo Davide Michielin, pubblicato sulle pagine de Il Tascabile, discute l’estrazione di metalli dai fondali oceanici per sostenere la transizione energetica e digitale.
La necessità di materiali come litio, cobalto, nichel e rame è destinata ad aumentare enormemente entro il 2050 e a causa delle difficoltà geopolitiche e ambientali dell’estrazione terrestre, molte nazioni guardano ai fondali marini per ricavare risorse preziose.
Gli ingredienti per girare un film d’avventura ci sono tutti: un tesoro sepolto in fondo al mare concupito da avventurieri privi di scrupoli; un controverso governatore caraibico che si prodiga affinché il diritto del mare trionfi; lettere di corsa rilasciate da Paesi compiacenti che preferiscono non esporsi apertamente. L’elemento di rottura con gli innumerevoli franchise sui pirati è l’ambientazione: la vicenda non si svolge al largo di isole tropicali bensì nei gelidi abissi a migliaia di metri sotto la superficie.
La richiesta di metalli preziosi e terre rare è in continua crescita:
L’elettrificazione del sistema energetico mondiale, alimentata da fonti di energia rinnovabili, assorbe una quantità impressionante e disparata di materie prime. Lo stesso vale per l’altra grande rivoluzione della nostra epoca: quella digitale.
Tra i principali giacimenti abissali ci sono le sorgenti idrotermali, attive o inattive, che producono enormi depositi di solfuri ricchi di rame, zinco, piombo e oro.
Un secondo tipo di deposito, le croste di cobalto, si forma per la precipitazione dei metalli presenti nell’acqua sulla roccia compatta delle cime e dei fianchi delle montagne sottomarine. Oltre al cobalto contengono nichel e altri metalli utili. Le croste crescono a un ritmo molto lento – pochi millimetri ogni milione di anni – e sono particolarmente impegnative da prelevare poiché devono essere staccate dalle ripide pareti di roccia sottostanti, difficili da affrontare sott’acqua.
Le tecniche di estrazione prevedono l’impiego di robot raccoglitori che raschiano il fondale e pompano i materiali in superficie. Questa procedura di estrazione potrebbe danneggiare gli ecosistemi marini, disturbare gli organismi acquatici e compromettere la capacità degli oceani di assorbire CO₂.
Scavare gli abissi potrebbe quindi rivoluzionare l’approvvigionamento di metalli, ma i rischi ecologici e le incertezze politiche rendono il tema estremamente controverso.
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