Su suggerimento delle @Querelle des Bouffons.
Correva l’anno 2010, a dirigere l’orchestra della Scala c’era Daniel Barenboim, e fuori dal teatro, nella sera della prima, contestatori che protestavano contro i tagli alla cultura. Guido Ceronetti, su La Stampa, scriveva un articolo provocatorio in tema con le manifestazioni:
Il cartellone della Scala è, sia pure bellissimo, già un animale impagliato. Anche gli altri cartelloni… Che bisogno c’è di una stagione d’Opera al Regio di Torino? Di quelle voraci cavallette musicali dell’Arena di Verona? Non chiamiamo «cultura» un evento turistico estivo, costosamente mondano, con pizza finale di mezzanotte! La Fenice ha voluto morire, gioiello dell’epoca rivoluzionaria; ma era dal suo nome destinata a risorgere: potrà vivere di concerti. Si potrebbe lasciar vivere il Regio di Parma, dare una mano al festival rossiniano di Pesaro: Verdi e Rossini bastano, sono glorie, ricordi, e un Figaro qua e uno là fanno circensi di allegria.
Ma se con un bilancio divoratore della Scala la saggezza dello Stato (mai ci fosse) potesse restaurare degnamente Pompei, non esiterei un momento a dar tutto agli scavi e a proteggerli dall’incuria e dalla sporcizia.
Guido Ceronetti, La Stampa – “Se la Scala chiude, che male c’è?”
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