Quanta corruzione c’è in Cina? Nate Sibley del Think Thank conservatore Hudson Institute prova a rispondere, a dieci anni dall’inizio di una campagna anticorruzione che, secondo le stime ufficiali, ha esaminato la condotta di 5 milioni di membri del Partito Comunista Cinese, e che ha portato all’incriminazione di 553 persone e all’applicazione di sanzioni di vario genere contro 207.000.
Sibley si focalizza su sei miti molto diffusi, e che rispondono solo in parte a verità. Xi non è il primo leader cinese ad affrontare questo problema, e la sua campagna, che finora gode dell’appoggio della popolazione, non è solo una scusa per purgare il partito e garantire il proprio potere, sebbene sia anche questo. La Cina non è una cleptocrazia come la Russia, ma questo non significa che non ci sia corruzione. La sua campagna anticorruzione, inoltre, ha implicazioni anche per gli altri paesi, e non è una semplice questione interna.
There is no evidence that Xi is a kleptocrat in this traditional sense. As noted above, he assiduously avoided implications in graft scandals or links to excess wealth and therefore developed a reputation for integrity as he rose within the party. The same cannot be said of his extended family, however, which was one of China’s foremost political clans even before Xi’s ascent to power and has profited handsomely from its increased connections. (…)
Democracies sometimes appear more corrupt because they do not sweep corruption under the carpet but openly discuss it. In authoritarian societies like China, corruption is invariably worse, but it is controlled: the government openly uses it on the one hand, as a political tool to attack and discredit potential rivals, and secretly on the other, to sustain the patronage networks that prop up illegitimate regimes. In this sense, Xi is no better than any other petty tyrant. He just has more resources and a bigger stage.
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