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Spazi di negazione

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Su Doppiozero Elena Granata si lancia nella compilazione di un “bestiario” delle negazioni che costellano la nostra quotidianità cittadina: divieti, sigilli, confini e preclusioni.

Già negli anni Settanta Henri Lefebvre ci spiegava che la città è il luogo per eccellenza dove – sotto forma di linguaggi e di scritture urbane – si trasmettono ordini, vere e proprie consegne per l’azione, per quando e per come, se e perché (Il diritto alla città, 1970).

Ma dagli anni Settanta in poi sono state numerose le trovate di design volte a determinare il comportamento delle persone negli spazi collettivi: panchine con braccioli in mezzo per impedire che ci si possa sdraiare, dissuasori ultrasonici percepibili solo dai ragazzi più giovani, luce blu nei bagni pubblici per rendere più difficile ai tossicodipendenti trovare le vene.

Nella logica del decoro la città stessa gioca un ruolo cruciale, si negano in modo sistematico gli spazi di socialità che nascano fuori da un circuito commerciale, si sgomberano gli spazi occupati, si investe in modo massiccio in video-sorveglianza e lo spazio pubblico viene inibito ai ragazzi, ai non consumatori, ai poveri, ai senzatetto.

 


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