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Su pena e riabilitazione: i punti di vista sul “caso Matei”

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Su suggerimento di @Bototlone, @Piwakkio e @uqbal

Come si immagina possa essere il recupero alla società di un criminale? Se si guarda alla storia di Doina Matei prima che se ne appropriasse la stampa, scrive Manconi su Il Manifesto, ci si rende conto che in essa vi era qualcosa di esemplare in positivo, mentre ora il rischio ora è di spazzare via tutto.

Così il fatto che in quelle foto “sorridesse” diventa un inesorabile capo di imputazione. Questo giustizialismo dozzinale non ha nemmeno la grandezza della ferocia che lo spirito di vendetta talvolta assume: è cattivismo miserrimo da vagone ferroviario.

Gramellini invece stigmatizza, amareggiato, il fatto che la Doina Matei -responsabile di omicidio e condannata a 16 anni- dopo 9 anni di reclusione ed ora uscita in regime di semilibertà, abbia pubblica su FB foto in cui sorride ed è felice.

Quelle immagini indignano e il moralismo non c’entra. Neanche il desiderio di vendetta. C’entra la sensibilità. C’entra che se ammazzi una persona, dovresti almeno avere il pudore di tenere per te le tue emozioni gioiose, senza ostentarle e tantomeno condividerle con chi patisce ancora le conseguenze del tuo delitto.

Un’altra analisi su pena, informazione e riabilitazione in Italia la fa il blog “La versione di Chamberlain”, mentre una “storia di perdono”  arriva da Irene Sisi, Claudia Francardi e dall’associazione AmiCainoAbele, di cui avevamo parlato quasi un anno fa anche qui su hookii.

«Si deve perdonare, il rancore ti condanna sempre all’istante del passato. Io ho cominciato a perdonare vivendo prima in pieno il mio dolore e tutta la rabbia»

 

Immagine di Matt B via Flickr, CC BY-SA 2.0

 

 

 


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