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Super Tuesday: la presentazione

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Ci siamo, mhookiis. Il gran giorno è alle porte. Il Super Tuesday delle primarie USA, routine ormai consolidata dopo il debutto nel 1988, è il giorno che, nel bene o nel male, potrà essere segnato sul calendario come il giorno in cui la corsa alla Casa Bianca prenderà una direzione ben precisa.

Innanzitutto perché esiste il supermartedì?
In parte per praticità, (mica si può votare ogni due giorni quindi è meglio accorpare gli stati) ma soprattutto per una decisione dei democratici negli anni ‘80. Stufi di perdere negli stati del sud che una volta erano un loro feudo pensarono di privilegiare quei candidati che andavano bene negli stati nel sud e al tempo stesso far fuori i candidati troppo liberal. In realtà gli stati del sud sono diventati sempre più repubblicani e qualche candidato liberal c’è stato quindi la mossa dei democratici non ha funzionato ma si sa gli americani fanno fatica a liberarsi delle cattive abitudini.

Casa GOP
Sia per i democratici, sia (se non soprattutto) per i repubblicani, il voto di martedì primo marzo significa dare una sostanziale iniezione di carburante alla propria candidatura. In palio ci sono infatti 661 delegati per i Repubblicani, la metà dei 1237 necessari a vincere le primarie senza incappare nella temuta (e quest’anno un briciolo più probabile del solito) “brokered convention”. Su Vox lo spiegano con un breve video (ancora più in breve: nessun candidato arriva al 51% di delegati acquisiti, e si va a un secondo ballottaggio dove ci si litiga a vicenda i delegati. In tal caso, staccate il telefono e preparate i pop corn. Molti pop corn).

Cose interessanti successe in casa GOP: Cruz, Rubio e Trump se le sono date di santa ragione nell’ultimo dibattito televisivo sulla CNN, in diretta da Houston. Trump ha preso in giro Rubio per la “famosa” bottiglietta d’acqua, Cruz ha detto a Trump di rilassarsi, Trump ha detto a Cruz che nessun senatore repubblicano lo sostiene, Rubio ha accusato Trump di aver assunto illegalmente lavoratori polacchi nel 1980 per la costruzione della Trump Tower… (insomma, avete capito: Ted e Marco si sono dati il cambio per attaccare Donald). C’erano anche Ben Carson e John Kasich. Sullo sfondo.

E per finire, Chris Christie, ritiratosi dalla corsa dopo i deludenti risultati in New Hampshire, e dopo aver dichiarato pochi giorni prima che si dovrebbe dare un taglio al “circo” che sta caratterizzando queste primarie repubblicane, ha fatto avere il suo endorsement a Donald Trump. Sì, avete letto bene. Non l’hanno presa bene, da quelle parti.

Casa DEM
Per i Democratici, i delegati in palio martedì sono 865, a fronte dei 2383 necessari ad aggiudicarsi il titolo di candidato alla Casa Bianca. Qui la cosa funziona diversamente, avevamo già parlato dei superdelegati e di come questi possano influenzare l’andamento della corsa. Per ora, Hillary “straccia” Sanders 503 a 71. Ma è ancora presto.

Cose successe in casa DEM: non si è mosso molto in questa settimana che precedeva il voto in South Carolina (a proposito, ha vinto Hillary e nettamente, con il 73,5 % di voti. Ma non solo: ha vinto in tutte le fasce d’età sopra i 30 anni e, come già previsto ma non in questi termini, ha vinto con il voto delle minoranze etniche, che in South Carolina rappresentano circa il 30% dell’elettorato, e che a livello nazionale valgono un quarto degli aventi diritto di voto, tranne l’endorsement di Spike Lee per Bernie Sanders. Una notizia che può lasciare il tempo che trova, o che la si può inserire nel quadro generale della corsa al voto “nero” dei due contendenti. Alla luce dei risultati in South Carolina, comunque, la rincorsa di Bern potrebbe non bastare. Conquistando l’86% dei voti tra gli afroamericani, Clinton ha infatti persino fatto meglio di quanto Obama fece nel 2008, proprio contro di lei.

Sondaggi
Il capitolo sondaggi sarebbe così lungo da affrontare stato per stato che arrivati alla Georgia chiedereste l’estradizione, per cui ecco qui i classici suggerimenti, con i sondaggi di Real Clear Politics e le previsioni nerd di Nate Silver.
Qui invece un interessante grafico da studiare quando siete annoiati, a cura del New York Times, con gli stati che i tre maggiori candidati repubblicani dovrebbero vincere per avere chances di vittoria finale.

 

Questo articolo fa parte dello speciale di hookii per le primarie USA.

Immagine di DonkeyHotey via Flickr, CC BY 2.0


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