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Trump e il grande deplatforming

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In questi giorni, dopo l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio, abbiamo assistito al grande deplatforming, come l’ha chiamato il giornalista Casey Newton. Deplatforming o no platforming: nel suo significato più specifico, cacciare qualcuno da un social media o piattaforma digitale quando viola le regole, ad esempio quelle che proibiscono i discorsi d’odio/incitamento alla violenza. Il termine ha iniziato a circolare da qualche anno, e a emergere nel 2018, almeno sui media, in relazione ad Alex Jones, speaker radiofonico americano di estrema destra, e prolifico diffusore di diverse teorie del complotto attraverso il sito InfoWars. Per il dizionario Merriam-Webster, deplatform era una delle parole della settimana del 10 agosto 2018: “deplatform, un verbo così nuovo di zecca che le persone ancora non hanno avuto modo di esserne infastidite, ha visto un grande incremento questa settimana, dopo che ad Alex Jones di Infowars è stata ridotta la possibilità di postare su una serie di social media”.

Infatti nell’agosto 2018, Facebook, Apple, YouTube, Spotify lo bannarono dalle proprie piattaforme per violazione degli standard di comunità e incitamento alla violenza. Importante sottolineare che la motivazione dei social non era la diffusione di teorie cospiratorie o disinformazione, ma la promozione o l’incitamento all’odio, alla violenza, contro un gruppo o un individuo. O ancora la glorificazione della violenza, la disumanizzazione di gruppi, etnie, minoranze.
Una delle purghe di contenuti popolari più grandi da parte di giganti di internet, scriveva Vox. Che era vero e no. Vero col termine “popolari”, perché InfoWars negli Usa era nicchia che si stava espandendo, era “fringe”, periferia, che si incuneava nel mainstream, era una destra alternativa ed estrema (alt-right) che aveva ospitato il candidato presidenziale Trump, di cui Jones era sostenitore, al suo show (per altro Jones ancora qualche giorno fa si vantava di aver finanziato l’assalto a Capitol Hill). Ma prima di Jones c’era già stato un grande deplatforming, sebbene non chiamato in questo modo: la progressiva espulsione dai social degli account di propaganda o simpatizzanti dell’Isis. Insomma, il deplatforming era un dibattito aperto da anni, e le piattaforme per anni sono state criticate per non averlo fatto, o non averlo fatto abbastanza, da una larga parte dell’opinione pubblica, ma soprattutto da molti politici e governi.

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