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Vado a vivere in campagna

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Monia Orazi su Senza Filtro racconta luci e ombre della fuga dalla città, sogno di molti diventato ancor più attraente durante la pandemia.

L’emergenza COVID ha puntato i riflettori sui piccoli borghi dimenticati d’Italia, rilanciando le opportunità che possono offrire per il “buon vivere”, rispetto alle città, diventate luoghi di assenza e segregazione durante il lockdown imposto per la pandemia.

L’articolo cerca di mettere a fuoco i dati sui piccoli comuni, sulla loro situazione demografica ed economica.

I piccoli borghi sono lo scenario della vita di una gran parte del territorio nazionale. I centri sotto i 5.000 abitanti sono il 69,7% del totale dei comuni italiani. Secondo la ricerca sul disagio insediativo, presentata nei giorni scorsi da Legambiente e Unioncamere, ci sono ben 2.666 paesi in una situazione difficile dal punto di vista demografico ed economico; un quarto della superficie italiana rischia di rimanere fuori da opportunità di sviluppo. Piccoli borghi silenziosi che risalgono dal dimenticatoio in occasione di catastrofi, come il terremoto del 2016 in Centro Italia o la recente emergenza sanitaria legata al COVID-19, o quando la politica decide di ricordarsi di loro, principalmente in occasione di progetti calati dall’alto che consentono di distribuire, canalizzandole, risorse pubbliche. 

Monia Orazi affronta le difficoltà che si incontrano quando si sceglie di trasferirsi a vivere in un piccolo comune della provincia italiana.

Scegliere di vivere in un piccolo borgo è oggi un atto di coraggio. Si vive a misura d’uomo, ma l’altro lato della medaglia mostra disagi legati alla marginalità di servizi pubblici e sanitari, incapacità di intercettare opportunità economiche e di sviluppo istituzionale e sociale. Non sempre piccolo è bello; spesso predomina nel silenzio dei paesi la quiete del lasciar vivere, il conformismo dell’adeguarsi a un contesto sociale e produttivo uguale a se stesso, facilitato dal naturale “effetto palcoscenico”, garantito dai piccoli spazi, in cui nel poco emerge chi sgomita di più, chi urla più forte, chi è semplicemente il più furbo, rispetto all’inazione della maggioranza. Nemmeno il refrain dell’isola felice risulta valido: fenomeni illegali, corruzione, associazioni a delinquere, si verificano ovunque, anche nei piccoli borghi, facilitati dal silenzio di una zona grigia fatta di connivenza e conformismo. 

Infine l’articolo prova ad ipotizzare soluzioni a quello che sembra essere solamente immobilismo rivolto al passato.

Per avere una svolta serve una piccola rivoluzione. Chi popola l’Italia minore deve avere immaginare un futuro diverso, a partire dalla consapevolezza delle potenzialità che si celano dentro i vicoli, tra le stradine bianche che conducono a borghi avvolti dal silenzio, nella fruizione di scorci naturali mozzafiato, nel degustare la ricetta tipica tramandata da generazioni, in un luogo difficile da trovare con il navigatore. Per modificare un destino che appare segnato si devono attuare azioni di coordinamento dal basso, raccogliendo le voci, i desideri, le istanze, le idee dei cittadini dei piccoli comuni, perché non si può prescindere dall’aspetto essenziale dell’autodeterminazione delle comunità locali, modificando la naturale propensione al senso del ritorno, piuttosto che allo slancio in avanti. 

Immagine da Flickr


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