La professoressa di Urbanistica del Politecnico di Milano Elena Granata (vicepresidente della Scuola di Economia Civile e autrice di Placemaker – gli inventori dei luoghi che abiteremo, Einaudi) intervistata da SenzaFiltro parla del Piano Nazionale Borghi del PNRR e analizza i cospicui rischi di interventi artificiali, privi di efficacia duratura.
Paesi che potrebbero rinascere, paesi che rischiano di rimanere esattamente come sono e in mezzo la solita critica a un sistema che nel corso degli anni non è riuscito a fornire risposte contro l’abbandono e lo spopolamento di interi territori, specialmente quelli delle aree interne.
Un finanziamento non è sempre una risposta efficace per riportare in vita realtà ormai marginalizzate e spesso l’idea romantica del recupero si scontra con oggettive difficoltà.
Penso che abbiamo un problema sentimentale: pensiamo che bastino la bellezza di un borgo, il tipo di paesaggio, il fatto di essere stato un borgo particolarmente attraente nel suo contesto per poterlo rianimare come un Frankenstein attraverso finanziamenti e progetti di recupero svincolato dal fatto che ci sono delle condizioni oggettive che rendono possibile o impossibile il ritorno a vivere nei paesi. Mi spiego meglio: se un paese è molto vicino a una città, magari raggiungendola agevolmente in un’ora di macchina, quel paese ha più possibilità di consentire una sorta di bi-residenzialità. Quindi consente di vivere una parte della settimana nel paese e l’altra in città. Quando invece il paese è stato bello, è stato importante ma è molto isolato perché si trova in aree difficilmente raggiungibili, ogni tentativo astratto e chirurgico di rimettere in piedi un corpo morto secondo me è vano.
Gli interventi di finanziamento secondo Elena Granata sono tardivi e con scarse possibilità di successo in quanto tutte le politiche territoriali degli ultimi anni sono state in controtendenza al ripopolamento di queste zone marginali.
… negli ultimi dieci anni abbiamo smantellato tutti i sistemi territoriali: abbiamo accorpato i tribunali, abbiamo accorpato le strutture sanitarie in grandi ospedali di provincia. Tutta la storia di quest’ultimo decennio ci dice che abbiamo realizzato investimenti su grandi contenitori, sui grandi servizi centralizzati sui territori. E quindi di fatto, abbiamo smantellato i servizi di pronto soccorso, le scuole. Poi, però, pensiamo di finanziare il ritorno a vivere in aree isolate immaginando che basti ripristinare le condizioni fisiche, quindi il recupero del paese, dei manufatti, dei monumenti per attivare un processo virtuoso.
Alla domanda su quale sia un buon punto di partenza per la rinascita Elena Granata fa riferimento a tre fattori: turismo sostenibile, imprese sostenibili e infrastrutture.
Partiamo da un turismo sostenibile e da imprese sostenibili. Poi non possiamo fare a meno delle infrastrutture: immaginiamo le zone terremotate con il deficit di collegamenti. Occorre pianificare. Basta sentimentalismi tipici italiani: è pur vero che alcuni territori potrebbero morire dal punto di vista sociale, ma potrebbero rinascere dal punto di vista ambientale, riportando la natura a essere protagonista di quei luoghi. La criticità nei paesi è l’invecchiamento dei suoi abitanti e la fuga dei giovani.
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