Giuseppe De Tomaso su Formiche riflette sulle conseguenze negative di alcune scelte del Fascismo, che tendono a venire trascurate dal dibattito pubblico. Fra queste c’è la sua politica rurale, che spesso viene ridotta alla bonifica delle paludi e considerata nell’ambito dell’ “ha fatto anche cose buone”. In realtà, anche in questo caso, il giudizio su Mussolini merita di essere molto più duro: in nome della tutela della produzione agricola, e della conservazione dei rapporti sociali tradizionali, la dittatura ostacolò l’inurbamento dei contadini, ritardando in ultima istanza la modernizzazione del paese. Fu soprattutto il Sud a patire le conseguenze di queste politiche, i cui effetti negativi sono perdurati nel tempo.
Che il Mezzogiorno paghi ancora oggi il prezzo di molte scelte controproducenti, è sempre la storia ad avvalorarlo. Di conseguenza, piuttosto che discutere di fascismo e antifascismo, manco fossero due squadre di calcio pronte ad eccitare le rispettive tifoserie, sarebbe forse opportuno entrare nel merito dei problemi di oggi, acuiti dalle decisioni di ieri. Forse ci si accorgerebbe che scelte come localismo e ruralismo, partorite dal fascismo, meritino di essere combattute e fermate anche adesso, e senza sconti, non foss’altro perché hanno impedito al Mezzogiorno di vedere le nuove frontiere degli scambi e della ricchezza, e perché hanno impedito a qualche area depressa del Nord medesimo di essere al passo dei vicini più fortunati. Tutta per colpa di una società rurale esaltata nonostante le sue congenite arretratezze. Il fascismo è stato anche o soprattutto questo: la sublimazione dell’Italietta ostile al mercato e a quella cittadinanza che, invece, tanto bene avrebbero potuto fare per il Mezzogiorno.
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