Paolo M. Alfieri su Avvenire commenta i problemi e limiti dello sviluppo turistico.
Alfieri nelle sue riflessioni riprende uno studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista Economia e Politica, molto critico sul «petrolio d’Italia».
Nello specifico la ricerca considera il caso del Salento (focalizzandosi soprattutto sulla provincia di Lecce), nel quale pur a fronte di uno spettacolare aumento dei flussi turistici iniziato negli anni ’90 ed accelerato nell’ultima quindicina di anni (es. dal 2009 al 2023 le attività di alloggio e ristorazione sono aumentate di oltre il 40%) permarrebbero alcune ombre.
Le criticità sono molte nelle caratteristiche del settore: dominato da microimprese a bassissima produttività, con un’elevata stagionalità degli incassi, ostaggio della mutevolezza delle preferenze dei vacanzieri, che riesce ad intercettare solo turismo “povero” (p.es. in tutta la provincia di Lecce vi sono appena 12 alberghi a 5 stelle), che offre posti di lavoro poco qualificati e poco pagati (potendo attingere dall’ampio bacino di disoccupati) e che potrebbe addirittura ritardare l’adozione di strategie alternative di sviluppo del territorio.
Inoltre a detta degli autori lo sviluppo del settore tenderebbe ad accrescere le disuguaglianze reddituali, andando ad arricchire soprattutto la borghesia locale (p.es. coloro che ereditano edifici in zone pregiate che trasformano in B&B o che affittano per periodi brevi in modo più o meno regolare).
In conclusione, stando a questa ricerca il turismo, almeno questo tipo di turismo «non genera crescita», perpetuando di fatto le condizioni di ricchezza e i divari precedenti, semmai è «lo sviluppo locale a essere un prius rispetto all’aumento degli afflussi». L’obiettivo, insomma, non può essere soltanto l’aumento dei numeri, ma la ricerca di un modo diverso di pensare al turismo stesso.
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