Su suggerimento ed a cura di @Eugenio Tafazzi
Gli spettatori dovrebbero avere il diritto di vedere un film nella sua presentazione ideale, quella che rispetta la composizione visiva di chi l’ha creata. Nella realtà, è raro che succeda.
@NetflixUK @metrodomegroup @eOnefilms @LesFilmsSeville pic.twitter.com/U7MvgUtlcf
— Xavier Dolan (@XDolan) January 4, 2016
Partendo dalla lettera che Dolan ha scritto a Netflix UK per “lamentarsi” del palese cambio di formato che la piattaforma di streaming aveva imposto al suo ultimo film Mommy, Laura Spini, su Prismo, parla di aspect ratio, dell’importanza della scelta per il regista e di come raramente tale scelta sia rispettata.
Un articolo analogo è apparso anche su il post che oltre a mostrarci come genialmente Wes Anderson abbia usato tre formati differenti in Grand Budapest Hotel, spiega di cosa si parla quando parliamo di 70, 35, 16 o 8 mm. (Ultra Panavision 70 è la macchina da presa usata da Tarantino in The Hateful Eight).
Per riassumere con le parole di Charles Bramesco:
Today, when American cinema’s most popular auteur is singlehandedly pioneering a revival of old-fashioned film technology, remarking on specifics of film image is no longer solely a die-hard film geek thing. The right to a moving picture, in its most apropos and complete form, is one of those unalienable rights of moviegoers, like the right to whip unpopped popcorn kernels at the heads of people using cellphones.
Immagine via Flickr, CC-BY 2.0
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