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La manipolazione digitale delle immagini scientifiche

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A cura di @NedCuttle21(Ulm) (modificato)

Un articolo pubblicato su Scienza in Rete fa un rapido riassunto della storia del fotoritocco e ne discute l’impatto nel campo delle pubblicazioni scientifiche, con le ovvie implicazioni etiche.

Era l’82 e in campo fotogiornalistico venivano mossi i primi passi nell’impiego delle tecnologie digitali. Eravamo all’inizio di una nuova era, quella in cui il lavoro “wet and dirty”, sporco e bagnato, degli acidi e delle bacinelle per lo sviluppo in camera oscura si avviava a venire sostituito con il lavoro rapido, “pulito”, impercettibile e high-tech (anche se non ancora a portata di tutti), fatto con il mouse del computer e le penne delle tavolette grafiche. Photoshop, il più celebre e potente programma di fotoritocco, sarebbe nato solo otto anni più tardi, nel 1990. E proprio a partire da quegli anni è iniziata la riflessione da parte di molti osservatori e studiosi sulle molte potenzialità offerte a livello creativo da tali strumenti, ma anche sui possibili rischi legati a tali interventi quando si tratti di immagini la cui affidabilità e accurata fedeltà alla realtà sia un’esigenza primaria. Ad esempio nell’ambito documentaristico, giornalistico, scientifico.

 

— Immagine da Flickr


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