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Bevo, dunque sono

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Claudio Castellacci, su Doppiozero, approfitta dell’uscita del libro “Sbronzi, Come abbiamo bevuto, danzato e barcollato sulla strada della civiltà”, di Edward Slingerland, per presentare una panoramica del rapporto tra l’alcool e la nostra società.

Un viaggio, insomma, attraverso l’archeologia, la storia, le neuroscienze, la psicofarmacologia, la psicologia sociale, la genetica, la poesia, la letteratura con cui Slingerland dimostra che il nostro amore per l’ebbrezza non è un errore evolutivo, ma è piuttosto l’elemento che ci ha permesso di affrontare una serie di sfide squisitamente umane e compiere il miracolo di far cooperare tra loro le tribù primitive, giocando così un ruolo cruciale nella formazione delle società. La sua principale argomentazione è che ubriacarsi, sballarsi, o raggiungere un qualunque stato cognitivo alterato, deve aver aiutato gli individui, nel corso dell’evoluzione, a sopravvivere e a prosperare, e le culture a durare ed espandersi.

In dosi eccessive, l’alcool è una sostanza chiaramente nociva. Non solo a livello fisico, compromettendo le capacità intellettive e motorei, ma anche a livello sociale: induce a comportamenti inappropriati, accresce l’aggressività, riduce il controllo. Eppure, nonostante tutti gli effetti negativi, agli uomini piace inebriarsi e, secondo alcuni studi recenti, potrebbero anche aver ricavato dei significativi vantaggi evolutivi dall’alcool.

Se da una parte, dunque, l’alcool è il re incontrastato dell’ebbrezza, recenti studi di psicologia condotti dall’équipe del professor Andrew Jarosz dell’Università statale del Mississippi dimostrano che, se usato in dosi contenute o moderate, finirebbe col creare un nesso diretto con l’incremento del pensiero laterale, creativo e artistico. «Una mente libera di vagare», scrive Slingerland «è una mente capace di produrre intuizioni creative».

L’alcool, quindi, funge da lubrificante delle interazioni sociali e massimizza la creatività di gruppo. Come ampiamente dimostrato da numerose ricerche, il motore dell’innovazione e delle crescita sta nelle interazioni sociali informali e casuali. Quale occasione migliore esiste, per queste interazioni, che una birra in un pub? Non deve essere una sorpresa, allora, se è in un bar della Silicon Valley, The Oasis, che si trovavano regolarmente Steve Jobs e Stepehn Wozniak, fondatori di Apple, assieme a molti altri protagonisti del mondo dell’informatica degli anni ’80 e ’90. Oppure, alla University of British Columbia, l’apertura di un pub interno ha scatenato collaborazioni che hanno fruttato l’apertura di un nuovo dipartimento, lì’assegnazione di importanti fondi federali e ricerche di importante impatto.

 


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