L’obesità è un problema per la salute a livello globale sempre più urgente. The Economist cerca di analizzare il problema, osservare le soluzioni adottate dai governi locali e capire perché è difficile trovare una formula vincente.
Una volta considerata una malattia della prosperità, oggi è un problema sempre più presente per i paesi e le classi sociali povere. In particolare i bambini sono una categoria vulnerabile a questo fenomeno, poiché coloro che sono obesi durante l’infanzia è molto più probabile che lo saranno anche da adulti.
I governi che cercano di ridurre l’obesità infantile hanno pochi modelli a cui ispirarsi. Partiamo da Amsterdam, che un tempo sembrava avere una strategia intelligente. La capitale olandese ha ricevuto il plauso internazionale quando il tasso di bambini sovrappeso e obesi è sceso dal 21% al 18,5% tra il 2012 e il 2015. Il governo locale ha cercato di modificare i comportamenti individuali: ha organizzato corsi di nutrizione per genitori e bambini nei quartieri poveri, ha inserito i bambini in piani di cura, ha offerto sport gratuiti come il pattinaggio su ghiaccio e ha scoraggiato il cibo spazzatura nelle scuole. Ma i risultati non sono durati. I tassi sono leggermente aumentati fino al 18,7% nel 2017; poi il comune ha smesso di pubblicarli.
Poi c’è il Cile, dove oltre la metà dei bambini tra i 4 e i 14 anni è in sovrappeso o obesa. Nel 2016 il governo ha apposto delle etichette nere di avvertimento, a forma di segnali di stop, sulla parte anteriore degli alimenti confezionati ad alto contenuto di calorie, zucchero, grassi saturi e sale. Da allora altri otto Paesi hanno copiato la mossa. Il Cile ha anche introdotto severi divieti sulla commercializzazione di questi alimenti ai minori di 14 anni e un programma di esercizio fisico e nutrizione nelle scuole. Nonostante tutto ciò, uno studio pubblicato quest’anno sul Pan-American Journal of Public Health non ha mostrato alcun cambiamento nei tassi di prevalenza nei tre anni successivi alla promulgazione della legislazione. (La professoressa Camila Corvalán, consulente del governo cileno per il programma, avverte che è troppo presto per trarre conclusioni).
Consideriamo ora la Gran Bretagna, che ha sperimentato una sorta di tassa sullo zucchero. L’imposta sulle bevande zuccherate, attuata nel 2018, ha avuto un successo misto. I grandi marchi hanno riformulato i loro prodotti per evitarla, con un conseguente calo del consumo di zucchero di 4,8 g al giorno tra i bambini. I ricercatori dell’Università di Cambridge hanno riscontrato una leggera riduzione dei tassi di obesità tra le ragazze di 10-11 anni, ma non nei bambini più piccoli o nei ragazzi di 10-11 anni, che consumano più bevande.
La ricerca suggerisce che gli incentivi di tipo economico come la sugar tax funzionano, specialmente in paesi e popolazioni più povere. Proprio per questo tuttavia la sugar tax è criticata per essere regressiva contro i meno abbienti.
Gli incentivi economici sono anche uno dei motivi per cui la nuova soluzione prospettata da molti per lottare contro l’obesità, quella farmaceutica, è nel breve termine impraticabile: costa troppo.
Gli Stati Uniti ad esempio per curare i suoi abitanti tramite farmaci come Wegovy e Ozempic dovrebbero spendere il 4% del Pil annualmente.
Altrove invece si può osservare come per avere una società più salutare potrebbe essere necessario invece intervenire sull’intera infrastruttura socio-culturale.
Il Giappone offre un’idea di quanto possano essere influenti i costumi culturali. “Nel complesso, i giapponesi sono molto attenti alla salute”, afferma Yokote Koutaro della Japan Society for the Study of Obesity. La dieta giapponese è diventata più occidentale nel corso degli anni, ma la gente continua a mangiare cibo tradizionale, che tende a essere fresco e spesso relativamente sano. Inoltre, mangiano porzioni modeste. Prendiamo ad esempio McDonald’s, dice Yokote. Se si ordina una bibita grande in Giappone, si mangia meno che se si ordinasse una bibita “piccola” in America.
Le norme sociali e i suggerimenti del governo sembrano funzionare. In Giappone non esistono regole severe sull’etichettatura o sulla pubblicità dei cibi grassi. Ma le sue città sono percorribili a piedi e anche i minimarket spesso offrono opzioni nutrienti come le insalate. Il governo richiede da tempo alle scuole di servire pranzi equilibrati. Altri suoi interventi sono a volte intollerabilmente infantili: nel 2008 ha chiesto alle aziende di iniziare a misurare il girovita dei loro dipendenti.
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