L’economista Francesco Pigliaru affronta nel suo substack il vasto problema di spiegare perché le condizioni economiche nel sud dell’Italia sono così differenti da quelle del centro-nord, e come potrebbero essere modificate.
L’esame è condotto naturalmente dal punto di vista economico: il Prodotto Interno Lordo (pro-capite) del Mezzogiorno è la metà di quello del Centro-Nord, e la spiegazione è la scarsa produttività e la bassa percentuale di persone che lavorano. E le prospettive per il futuro sono ancora peggiori, visto che la popolazione in età lavorativa diminuisce, sia per la diminuzione delle nascite che per l’emigrazione giovanile. A questo è da aggiungere il fatto che la crescita economica è dovuta principalmente alla formazione di aree in cui si concentra la popolazione attiva, e di conseguenza si impoveriscono le aree periferiche.
Le soluzioni teoriche sarebbero perciò l’aumento della produttività e dell’occupazione, ma in pratica è difficile metterle in atto:
nel Mezzogiorno le condizioni non sono favorevoli. Il suo tessuto produttivo è più frammentato che nel resto d’Italia, è poco proiettato sui mercati esteri ed è concentrato soprattutto in attività a basso contenuto tecnologico. Inoltre, è fortemente caratterizzato da imprese di piccola scala, da sempre meno capaci di innovare.
La debolezza emerge anche dai dati di altro fattore decisivo, le competenze della popolazione. Il Mezzogiorno ha meno laureati e più abbandoni scolastici, risultati di apprendimento inferiori, competenze digitali più deboli, minore partecipazione alla formazione continua e un tasso di NEET più che doppio rispetto al resto del Paese.
Per modificare queste caratteristiche strutturali sono necessarie politiche capaci di incidere sulle barriere che ostacolano lo sviluppo: tra queste gli ostacoli politici (i governanti locali sono più portati a non modificare lo status quo per non perdere il consenso) e quelli sociali (clientelismo e reclutamento non meritocratico). Secondo l’autore, bisogna spostare il potere decisionale verso livelli più alti per combattere questi gruppi di pressione:
Servono norme che permettano di trasferire la regia a livelli di governo meno esposti ai gruppi di pressione locali ogni volta che questi paralizzano le riforme. Non è un esautoramento delle autonomie, ma un rimedio realistico a disfunzioni croniche che non si risolvono nel breve periodo.


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