Bret C. Devereaux su A Collection of Unmitigated Pedantry illustra la guerra di trincea nella prima guerra mondiale e le differenze tra gli sterotipi della percezione collettiva e la realtà del conflitto nelle fortificazioni campali (prima parte, seconda parte).
Devereaux parte dal primo stereotipo, ovvero che la guerra di trincea fosse uno stallo totale dovuto sostanzialmente alla presenza di mitragliatrici in posizione difensiva e all’incompetenza dei comandi. In realtà non vi erano soluzioni semplici e nulla fu lasciato intentato durante il conflitto.
La trincea nasce da una esigenza difensiva, proteggere i soldati dal fuoco delle mitragliatrici e dell’artiglieria nemiche. Non sono però adatte a respingere un attacco di fanteria (anzi, la peculiare posizione «interrata» dei soldati crea degli svantaggi per il difensore). Per disinnescare questa minaccia vennero installate numerose mitragliatrici sul tracciato difensivo.
Dal punto di vista offensivo, l’obiettivo era quindi in qualche modo attutire o eliminare o ritardare l’ingresso della potenza di fuoco delle mitragliatrici; la soluzione fu trovata l’impiego massiccio dell’artiglieria, che metteva fuori uso qualche mitragliatrice e soprattutto costringeva gli operatori a ripararsi nelle casematte durante il bombardamento.
Questo sistema metteva in atto una corso il tempo. Per conquistare le posizioni nemiche l’artiglieria doveva cessare i suoi colpi per lasciare spazio ai fanti; in questa condizione l’attaccante doveva essere più veloce nel raggiungere la trincea martoriata dagli obici prima che il difensore riuscisse a ristabilire il funzionamento le mitragliatrici e riprendere il fuoco.
Contrariamente a quanto si crede comunemente, spiega Devereaux, questi attacchi avevano di solito successo. Allora come mai numeorissime «offensive risolutive» si risolsero in un nulla di fatto? I difensori si resero immediatamente conto della fragilità della prima linea e costruirono una serie di trincee più lontane dal fronte, raggiungibili solo dall’artiglieria più a lunga gittata del nemico. Quindi l’attaccante si ritrovava ad ogni trincea a poter fare sempre meno affidamento sui suoi mezzi, ad essere sempre più logisticamente lontano dai rifornimenti, a dover attaccare su un territorio reso insidioso e inagevole dai propri bombardamenti di attacco precedenti.
Devereaux sottolinea questo paradosso che spiegherebbe molte delle strategie disastrose impiegate nella prima guerra mondiale: dopo i successi iniziali, la vittoria diventava un miraggio, sembrava bastasse solo una trincea in più per far capitolare il nemico e fu questa errata convinzione che spinse gli stati maggiori a scelte disastrose.
Nel secondo articolo Devereaux illustra i modi studiati per risolvere questi problemi e il loro successo: gli Stoßtruppen e altre truppe d’assalto, che permettevano di usare meno artiglieria in maniera più precisa; il perfezionamento del carro armato per avanzare rapidamente anche nei territori devastati dai tiri di artiglieria; i primi impieghi dell’aviazione.
Nulla di tutto questo si rivelò però decisivo e la guerra, lungi da essere risolta da una brillante offensiva, continuò ad essere un massacro di attrito che lasciò sul campo quasi dieci milioni di soldati.
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