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Ex Ilva, un sistema che costringe i cittadini a scegliere fra lavoro e salute

Ex Ilva, un sistema che costringe i cittadini a scegliere fra lavoro e salute

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Su Valigia Blu, Angelo Romano, riflettendo sulle ragioni dietro l’annunciato disimpegno dal siderurgico ionico da parte di ArcelorMittal, fa il punto sulla complessa situazione in cui versa la città di Taranto e sul mercato dell’acciaio.

In altre parole ArcelorMittal ha legato la sua permanenza a Taranto a 4 condizioni: il ripristino dello scudo legale, l’autorizzazione a licenziare circa 5 mila dipendenti di ILVA, la riduzione della produzione-obiettivo da 6 a 4 milioni di tonnellate, l’approvazione di una legge che permetta di tenere aperti gli altoforni sotto esame della magistratura per ancora 14-16 mesi.

Condizioni che, spiega Lavoce.info, testimoniano come siano profondamente cambiate le condizioni attuali rispetto a quando l’azienda ha partecipato alla gara per l’acquisizione di ILVA. Nel 2017 il gruppo ArcelorMittal veniva da un anno di quasi completa utilizzazione degli impianti europei. L’acquisto dello stabilimento siderurgico veniva considerato un’opportunità all’interno del piano strategico Action 2020 per poter penetrare nel mercato italiano dell’acciaio, secondo mercato europeo dopo la Germania, del quale la multinazionale copriva ancora una quota limitata. La multinazionale si era impegnata a fare investimenti ambientali per 1,1 miliardi di euro, produttivi per 1,2 miliardi e a versare poi 1,8 miliardi di euro al momento dell’acquisizione. All’epoca l’amministratore delegato di ArcelorMittal Europe Flat SA ipotizzava il pareggio di bilancio in soli 3 anni. Ma non è andata così. E non solo in Italia, come si può vedere nella relazione semestrale 2019 del gruppo che evidenzia difficoltà in ogni area geografica di attività, con il reddito operativo in calo ovunque. Il primo semestre si è chiuso con una perdita netta di 33 milioni di dollari.

In particolare, si legge nel documento, “la domanda di acciaio nella Ue è debole in tutti i principali settori”, ma crescono le importazioni soprattutto a causa dei dazi sull’acciaio degli Stati Uniti che hanno dirottato verso l’Europa le esportazioni di Cina e Turchia. A questo poi si deve aggiungere l’aumento del prezzo delle materie prime, i costi crescenti delle quote di emissione di Co2 previste dal mercato europeo del carbonio e soprattutto la crisi dei settori dove c’è più richiesta di acciaio.


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