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Google, i topi e il labirinto

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Sono entrato in Google poco prima della pandemia, quando la società di cui ero cofondatore, AppSheet, è stata acquisita da Google Cloud. Il team e i dirigenti ci hanno accolto e trattato bene. Ci siamo uniti con grande entusiasmo e impegno per integrare AppSheet in Google e farne un successo. Tuttavia, ora, allo scadere del mio periodo obbligatorio di tre anni, ho lasciato Google dopo aver capito che un’azienda un tempo grandiosa ha lentamente smesso di funzionare.

A scrivere è Praveen Seshadri che in un lungo articolo su Medium, i cui punti salienti sono riassunti su Ars Technica, analizza in profondità i motivi per cui Google a suo parere avrebbe smesso di funzionare.

Per come la vedo io, Google ha quattro problemi culturali fondamentali. Sono tutte conseguenze naturali di una macchina per stampare denaro chiamata “Ads” che ha continuato a crescere senza sosta ogni anno, nascondendo tutti gli altri problemi.

(1) mancanza di una missione, (2) nessun senso di di urgenza, (3) l’illusione di essere speciale, (4) cattiva gestione.

Conseguenza di questi “peccati” sarebbero l’eccessiva burocratizzazione e l’adozione di una cultura aziendale paralizzante.

Google ha più di 175.000 dipendenti capaci e ben retribuiti che, trimestre dopo trimestre e anno dopo anno, riescono a fare ben poco. Come topi, sono intrappolati in un labirinto di approvazioni, processi di lancio, revisioni legali, revisioni delle prestazioni, revisioni dei dirigenti, documenti, riunioni, segnalazioni di bug, triage, OKR, piani H1 seguiti da piani H2, vertici e inevitabili riorganizzazioni. I topi vengono regolarmente nutriti con il loro “formaggio” (promozioni, bonus, cibo di lusso, benefit più esclusivi) e nonostante molti desiderino trarre soddisfazione personale e impatto dal loro lavoro, il sistema li addestra a reprimere questi desideri inopportuni e a imparare cosa significhi in realtà essere Googley: “limitati a non  agitare la barca”. Come dice Deepak Malhotra nella sua eccellente favola sul business, a un certo punto il problema non è più che il topo si trova in un labirinto. Il problema è che “il labirinto è nel topo”.


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