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I problemi con i gatti, in Australia e oltre

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Sul blog di Le Scienze la biologa Lisa Signorile critica la controversa politica di abbattimento dei gatti inselvatichiti annunciata in Australia per contenerne il numero, rilevando come in realtà non siano loro la principale minaccia alla biodiversità.

Negli ultimi duecento anni l’australia ha perso il 40% delle sue foreste, eliminate principalmente per far posto alla produzione di grano. Secondo il WWF circa il 70% delle foreste dell’Australia orientale e’ stato distrutto o disturbato, ma solo il 18% dell’area gode di una protezione di qualche tipo, spesso minima. Quel che rimane e’ frammentato, non ci sono corridoi che uniscano le varie foreste e questo fa si che le specie restino isolate perdendo diversita’ genetica e quindi “indebolendosi”. Non c’e’ limite a questo declino, si prevede che da 3 a 6 milioni di ettari di foresta, sopratutto in Nuovo Galles del Sud e Queensland, potrebbero andar persi entro il 2030, l’80% della perdita globale di foreste. E’ ben noto infatti che i gatti, come i castori, siano ghiotti di alberi. Non parliamo dei famosi gatti marini che distruggono le barriere coralline.

Sempre colpa dei gatti e’ l’introduzione in Australia di 25 mammiferi, 20 uccelli, 4 rettili, un anfibio, 34 pesci, centinaia di specie marine, un numero imprecisato ma molto alto di invertebrati e 2800 piante, che vanno a fare concorrenza, predare e brucare sulla fauna e flora nativa. C’e’ di tutto: gatti (ovviamente), volpi e cani, capre, maiali, dromedari, cervi, lepri, conigli, scoiattoli, piccioni, passeri, tordi, merli, gambusie, pesci rossi, tilapie, trote e molto altro. Se gatti, volpi e cani (dingo) predano, capre, maiali, pecore, mucche etc brucano, sottraendo cibo agli erbivori residenti e bevendo la pochissima acqua presente. Cio’ crea un impatto ambientale almeno altrettanto devastante rispetto ai carnivori, ma e’ ben noto che i gatti sono come i dromedari e bevono moltissimo, prosciugando i pozzi.

Il buon vecchio Gregory Andrews citato sopra ha di recente fatto arrabbiare molti in Australia dicendo che la distruzione degli ecosistemi per far posto a pascoli, campi e attivita’ produttive umane varie ed eventuali, senza contare l’inquinamento, non e’ il problema numero uno in Australia. Certo, perche’ il problema secondo lui sono esclusivamente i gatti, e un po’ anche le volpi. Perche’ il fatto che la scienza dica che il problema e’ la perdita degli ecosistemi naturali sotto la pressione antropica non fa vincere le elezioni. Vuoi mettere coi gatti, gia’ testati dall’inquisizione, satanici, perfidi, infedeli e insopportabilmente pucciosi? Perche’ mica Trump e’ l’unico mentecatto a questo mondo. Adesso i siti governativi sono costretti a mettere i gatti al primo posto tra le cause di rischio ambientale, mentre la distruzione dell’habitat riceve solo un modesto quarto posto. Perche’ dei 400.000 ettari di foreste tirati giu’ in Queensland nel 2016 e’ molto meglio non parlare. Secondo il CSIRO la deforestazione uccide ogni anno 50 milioni di mammiferi, uccelli e rettili solo in Queesnalnd e Nuovo Galles del Sud.

Se siete arrivati a leggere sin qui, andate avanti qualche altro rigo per favore. NON voglio dire che i gatti non siano un problema in Australia. Lo sono, eccome se lo sono, e anche uno molto serio! Voglio dire che distruzione dell’habitat, caccia e pesca eccessiva, introduzione di specie alloctone, reazioni a catena di cambiamenti ecologici, sfruttamento sconsiderato delle risorse idriche, inquinamento, malattie (si pensi al fungo chitridio che sta sterminando gli anfibi australiani ai gatti che mangiano rane) incendi e cambiamenti climatici tutti insieme contribuiscono alla vertiginosa perdita di specie in Australia. Se vogliamo salvare i bilby limitarsi a eliminare i gatti non serve, se i bilby non hanno un ambiente adatto dove vivere e se vengono le vacche a fregargli la poca erba.

A questa presa di posizione hanno risposto su con una lettera aperta 20 esperti, che su Open hanno rimarcato come i gatti siano una delle principali specie invasive al mondo, responsabili di estinzioni di massa di insetti, uccelli e piccoli mammiferi.

«Tutti i dati mondiali (compresa l’analisi dello scorso anno di BirdLife International, 2018), confermano infatti che i gatti uccidono addirittura molto più dei fucili.

Potrebbe essere dunque che il termine “ferale”, [usato dalla Signorile] riferito ai gatti inselvatichiti, non sia un refuso dovuto ad una inappropriata traduzione dall’inglese, “feral”, ma letteralmente “portatore di morte”».[…]Secondo gli scienziati il negazionismo dell’impatto del gatto sulla biodiversità risulterebbe dal fatto che «il gatto rappresenta un animale d’affezione legato perlopiù a sentimenti positivi».

Certo, non è facile accettare questa realtà, ma anche la difesa della biodiversità è importante. Per questo i sottoscrittori della lettera aperta si offrono disponibili per analizzare questioni complesse e delicate quali la conservazione, per cui è necessaria una divulgazione professionale e imparziale.

Essendo Le Scienze una buona rivista di divulgazione scientifica, nell’ospitare alcuni articoli fuorvianti in ambito conservazionistico c’è il rischio di dare autorevolezza a tesi controverse, che promuovono atteggiamenti sbagliati o scorretti da parte dei lettori.

Per esempio una persona che avesse letto l’articolo “Disgattamento Globale” potrebbe credere che lasciare liberi i propri mici di vagare fuori dalle mura domestiche abbia minimo o nullo impatto sulla fauna selvatica, quando è esattamente il contrario.

Il rischio potrebbe essere quello di fare più danni di quanti se ne volessero evitare.

Immagine da Wikimedia.


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