Il 19 febbraio prossimo la Scala di Milano ospiterà il concerto di Paolo Conte, suscitando le ire di Piero Maranghi (direttore di Classica HD). Alberto Mattioli su Il Foglio spiega perché l’evento non debba scandalizzarci.
E’ un evento senza precedenti, o quasi, perchè il teatro milanese ha sempre tenuto fuori dal suo palco artisti e musicisti “non classici” e a pochi giorni dall’appuntamento musicale, che si preannuncia come una Prima del 7 dicembre per pubblico e costi dei biglietti, serpeggiano malumori e contrarietà.
Piero Maranghi, editore e amministratore delegato di Classica HD, produttore di documentari, ideatore di musei e, per sua ammissione, grande estimatore di Paolo Conte ha fatto pubblicare una sua lettera nella quale chiede di non fare questo concerto.
Nella lettera Maranghi scrive, rivolgendosi al cantautore stesso ” Il Suo concerto – afferma Maranghi – è uno schiaffo alla storia della Scala; costituisce un precedente assai pericoloso; non dà nulla al Teatro da cui invece riceve moltissimo; è culturalmente un concerto ‘antipatico ed elitario’, come dire non vedo traccia di alberghi tristi e di intelligenza degli elettricisti.”
E ancora “… adorato e splendido Paolo Conte, Lei alla Scala, la mia è solo una constatazione, non dà nulla. Porta pubblico giovane? NO. Porta un pubblico che resterà attaccato alla Scala? NO. La Scala ha bisogno di Paolo Conte o di Mina o Dylan per essere quello che è (ormai sarebbe il caso di dire che era)? NO! E Lei cosa riceve? Tantissimo. Lei può esibirsi, primo “non classico” nella storia, sul palcoscenico che fu di Rossini e Verdi, di De Sabata e Callas, di Gavazzeni e Visconti, di Pavarotti e Abbado, di Strehler e Zeffirelli”.
Chiaramente, dopo quella lettera, sono arrivati commenti di approvazione, ma anche opinioni opposte a quelle di Maranghi. Non ha perso tempo Sgarbi e non lo ha fatto neppure il giornalista Alberto Mattioli che, sempre sul Foglio, ha scritto “… la vera ragione per cui parlare della Scala come di un tempio è sbagliata è perché ribadisce l’idea autoreferenziale e alla fine autolesionista che sia una specie di isola di bellezza e di civiltà circondata dai barbari come un villaggio di Asterix al contrario: come se il mondo là fuori fosse sempre una minaccia e mai un’opportunità. I confini fra musica “colta” e di consumo sono sempre stati labili e sempre più lo diventeranno. Nel 1874 venne a suonare alla Scala i suoi valzer Johann Strauss, e dell’epoca non esisteva musica più d’intrattenimento; nel 2009, il balletto ha danzato sulle hit dei Pink Floyd, e senza che nessuno facesse un plissé. La stessa opera italiana, alla fine, è un pop che ce l’ha fatta.”
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