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La de-dollarizzazione del mercato energetico ci dovrebbe preoccupare

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Un articolo su Le Formiche a firma di Matteo Turato riprende un editoriale di Rana Foroohar sul Financial Times e mette in guardia dal crescente trend dei mercati internazionali di abbandonare l’uso del dollaro nel mercato energetico, in favore del renminbi cinese.

La Repubblica Popolare Cinese è impegnata in uno sforzo per scalzare l’egemonia globale statunitense e questo si riflette anche nell’importante settore energetico. In questo settore, lo sforzo si declina nel tentativo (molto concreto) di de-dollarizzare, ovvero rendere meno dipendenti dal dollaro, diversi grossi Paesi tra cui gli stessi Bric. Questi tentativi erano già esistenti prima dell’invasione russa dell’Ucraina, ma si sono intensificati visto l’uso bellico che si può fare delle riserve estere in dollari.

Sebbene la fiducia che i mercati internazionali riservano agli Stati Uniti sia ancora molto più consistente rispetto a quella riservata alla Cina, è anche vero che numerosi Paesi esportatori di petrolio hanno ormai maggiori affinità con Pechino che con Washington: Venezuela, Iran, Russia e i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo Persico (GCC) per citarne alcuni hanno tutti intensificato i rapporti commerciali con la Cina.

Come ricorda l’analista, la “petropolitica” nasconde anche grossi rischi finanziari. Ad esempio, vale la pena ricordare che il denaro riversato dai Paesi produttori di petrolio nei mercati emergenti come Messico, Brasile, Argentina, Turchia e altri tramite le banche commerciali statunitensi dagli anni Settanta abbia provocato diverse crisi del debito in quei mercati. I “petrodollari” hanno anche accelerato la creazione di modelli speculativi alimentati dal debito degli Usa. Questo perché le banche ricche di liquidità hanno cominciato a creare ogni sorta di soluzione finanziaria e l’afflusso di capitali stranieri ha permesso agli Stati Uniti di mantenere un alto deficit.

Questo trend si potrebbe invertire? Secondo l’analista sì, e una prova sarebbe la diminuzione già in atto di compratori esteri di titoli di Stato statunitensi. Se il “petroyuan” dovesse prendere piede alimenterebbe questo (anti)circolo.


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