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La riforma delle Banche di Credito Cooperativo al traguardo finale, ma non tutti sono contenti.

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A cura di @cocomeraio (modificato).

Il 23 marzo del 2016 il Parlamento approvava la Riforma delle Banche di Credito Cooperativo (BCC), gli istituti a mutualità prevalente eredi delle Casse Rurali e Artigiane. Una riforma attesa (pur tra qualche polemica sulla clausola del way out che secondo alcuni era scritta su misura per una banca toscana, la ChiantiBanca, che tra l’altro ha pure aperto un contenzioso) e a cui la banca d’Italia diede un’accelerazione facendo scattare sin dal novembre 2016 le norme secondarie, prescrivendo che entro il 3 maggio del 2018  si dovevano presentare i gruppi bancari spa del sistema, con patrimonio netto di almeno 1 miliardo e poteri di direzione e coordinamento nei confronti delle Bcc aderenti sulla base di un contratto di coesione.

Alla fine non è nato, a differenza degli auspici, un unico gruppo bancario ma tre: uno romano che ruota intorno a ICCREA, uno trentino e uno di Bolzano. Istituti che difficilmente potranno replicare il percorso del francese Crédit Agricole, ma che si spera possano portare stabilità dato che si stima che circa un terzo delle BCC italiane sia considerato ad alto rischio e un altro quarto mediamente a rischio.

Ma qualcuno accusa la governance di questi gruppi di essere troppo accentratrice e la Associazione Generale delle Cooperative Italiane ha chiesto una moratoria della legge.

 

Immagine da pixabay.


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