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Le mostruose eruzioni dell’Ottocento

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Tra il 1808 e il 1835 un’intensa attività vulcanica modificò il clima della Terra e portò disordini politici e sociali in molti Paesi: Il Tascabile pubblica un estratto del saggio Storia dei cambiamenti climatici, scritto dall’archeologa e divulgatrice Nadia Durrani in collaborazione con l’antropologo americano Brian Fagan.

Questa intensa attività vulcanica fu all’origine delle violente fluttuazioni climatiche che nell’ultima fase della Piccola era glaciale ebbero durata spesso pluridecennale. Quando le eruzioni cessarono, le temperature risalirono rapidamente, forse anche a causa di un primo, ancora contenuto, processo di riscaldamento antropogenico generato dalla Rivoluzione industriale. Sta di fatto che, a partire dalla fine del Settecento, i gas serra immessi in quantità sempre maggiore dall’uomo nell’atmosfera hanno condizionato l’andamento climatico. Non è un caso che alla Piccola era glaciale sia succeduta un’epoca di progressivo riscaldamento del pianeta.

Le eruzioni interessarono principalmente vulcani della cintura pacifica: la prima, nel 1808, fu annotata da alcuni contemporanei (dall’altra parte del Pacifico) ma non è mai stata identificata con precisione. Ad essa seguì la violenta eruzione del vulcano Tambora, sull’isola indonesiana di Sumbawa.

Il 5 aprile del 1815, dopo settimane di brontolii, il Tambora eruttò e per tre ore sputò altissime colonne di fumo e dense nubi di cenere. Cinque giorni dopo il vulcano esplose e la lava prese a sgorgare dal cratere, trasformando la montagna in una massa di fuoco liquido. Almeno diecimila persone morirono tra le fiamme, travolte da fiumi di magma e tempeste di cenere. Due o tre giorni dopo, la cima del vulcano collassò e al suo posto si aprì una caldera del diametro di 6 chilometri. La montagna si abbassò di 1500 metri in seguito alle esplosioni, che furono udite a centinaia di chilometri di distanza. Uno strato di cenere alto più di un metro ricoprì le navi nell’arcipelago. Enormi nuvole cariche di detriti vulcanici oscurarono il cielo. Uno tsunami provocato dall’eruzione devastò le coste della penisola di Sanggar. Nel mezzo dell’oceano Indiano, a grande distanza dalla costa, galleggiavano isolotti di pietra pomice eruttata dal vulcano.

Nel 1816 il clima risentì di questo evento: il libro ricorda alcuni dei modi in cui “l’anno senza estate” influenzò la vita dei contemporanei.

Quell’anno, il poeta inglese Percy Bysshe Shelley e la sua seconda moglie Mary trascorsero l’estate in Svizzera, in compagnia del poeta Lord Byron, e salirono in montagna sotto “una violenta tempesta di pioggia e vento”. Così come la gente del posto, anch’essi si lamentarono del tempo freddo e della pioggia pressoché incessante, accompagnata da forti venti, tuoni e fulmini, che li costrinse a passare gran parte del tempo chiusi in casa. Fu l’inverno più freddo registrato a Ginevra da quando, nel 1753, presero avvio le rilevazioni meteorologiche, con 130 giorni di pioggia tra aprile e settembre e persino una nevicata a luglio. Mary, bloccata lì dal cattivo tempo, scrisse la storia terrificante di uno scienziato di nome Frankenstein destinata a diventare un classico immortale della letteratura. Byron compose una poesia intitolata Darkness (Oscurità), in una giornata talmente fredda che gli uccelli smisero di volare a mezzogiorno. In quell’anno terribile, il prezzo della biada schizzò alle stelle e i cavalli morirono o furono macellati. Al di là del confine, nel Baden, per ovviare alla carenza di cavalli, l’inventore tedesco Karl Drais creò una “macchina per correre”, la draisina, progenitrice della nostra bicicletta. Sfortunatamente la sua macchina a due ruote, che il guidatore spingeva puntando i piedi a terra, fu considerata un pericolo per i pedoni e venne bandita persino nella caotica città di Calcutta.


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