un sito di notizie, fatto dai commentatori

L’ISIS fin qui

13 commenti

Su suggerimento di @Guglielma Bon, @Francesco Vitellini, @Massimo011, @gigi, @pakokanellos, @Francisco Quintay, @Clunk, @Yoghi

Continuiamo con la serie di articoli che partono dagli accadimenti di Parigi; stavolta però cercando di avere un quadro che vada al di là della contingenza, ma che porti ad analisi leggermente più estese.

Dalla nascita ad oggi: alcuni dati

Iniziando dai dati, prima di tutto, presentiamo qui delle mappe interattive curate da Al Jazeera che raccontano la storia dell’ISIS: racconto che si dipana in sei capitoli, trattando la storia dei più di 10 anni dell’organizzazione jihadista. Dal 2003 con la guerra in Iraq e con la conseguente deposizione del regime baathista («The de-Baathification process meant government forces were stripped of their military capabilities. At the same time, thousands of newly unemployed Iraqi soldiers turned to Sunni insurgent militias, greatly strengthening the anti-government forces»), passando per la figura di Al Zarqawi, poi per Camp Bucca e gli errori statunitensi con Al-Baghdadi, fino allo spostamento dello scontro alla Siria, sempre mantenendo il conflitto in Iraq («Its strategy in Iraq remained guerrilla insurrection and suicide bomb attacks, while in Syria, it was to move to a whole new level of warfare»).

Il racconto si ferma con il 2015, con delle questioni aperte come i confini turchi e la coalizione anti-ISIS. Il problema è infatti «quel che succede dopo», prendendo a prestito il titolo dell’articolo de Linkiesta di Tommaso Canetta, dove l’autore parla del bisogno di una Yalta mediorientale (problematizzando ancora di più la narrazione di Al Jazeera che si concentra prevalentemente sul rapporto tra ISIS e USA):

In Medio Oriente è infatti in corso un violento scontro tra Iran e Arabia Saudita, che sfrutta la fragilità del sistema regionale all’indomani delle Primavere arabe e si alimenta fomentando l’odio intra-religioso tra sunniti e sciiti. Tale scontro si esplicita in numerose “proxy war” tra Teheran e Riad: in Yemen, in Siria e in Iraq prevalentemente (ma anche in Libano e Bahrein, in parte).

A questo Canetta aggiunge anche «la questione curda, i rapporti della Turchia con i suoi vicini, la soluzione al caos in Libia, il ruolo dell’Egitto, la fine della guerra in Yemen etc.».

La perdita di territori e le tensioni tra i gruppi

Significativo è inoltre il fatto che, proprio in questi giorni, l’ISIS stia perdendo territori nel nord dell’Iraq, a Sinjar precisamente, e che questo non sia esente da tensioni interne tra Peshmerga iracheni e PKK. Il PKK si è apparentemente stabilito nell’area di Sinjar nonostante essa si trovi entro i confini iracheni, accolto con favore dagli Yazidi essere accorso a combatter contro l’ISIS aiutando gli yazidi bloccati sulle montagne a mettersi in salvo, là ove i Peshmerga si sono ritirati abbandonando Sinjar al suo destino. Il controllo dell’area è fondamentale per il PKK per il passaggio dal Kurdistan Iracheno a quello Siriano. Tuttavia nonostante i contrasti tra le due forze, entrambe hanno dichiarato di avere ordine di non combattere per risolvere la questione e di evitare lotte fratricide.

Lo spaesamento dei critici

Uno scenario per cui sembra che non si riesca a trovare una via di uscita: questa sorta di “spaesamento” è evidente in articoli meno legati ai fatti, ma che cercano di interrogarsi sulle cause più culturali e sociologiche dello scontro Medioriente-Occidente, Islam-laicismo, e altri binomi che spesso sembrano intercambiabili, eppure non riescono a dare un quadro complessivo delle diverse visioni in campo. In questo articolo pubblicato tempo fa dall’Uaar (Unione degli agnostici,atei e razionalisti) ad esempio, si parla dello Stato islamico (Isis) e di come nei Paesi occidentali i musulmani ed i laici si rapportano con le notizie delle loro azioni. Christian Rocca, invece, decreta tutte le azioni occidentali come «fallimenti» tout-court, ponendo un out of options derivante dalla “natura” dell’Islam «in Medio Oriente, l’Islam è un’ideologia incommensurabilmente più forte e radicata dell’Illuminismo». Eppure, è proprio da questa visione netta che si scosta l’articolo di Bernard Henry-Lévy, parlando di «due visioni dell’Islam» e avvicinandolo anche lui alla questione dei lumi – ma ampliando il discorso con il lavoro di memoria, con il precisare i confini della «guerra», con la definizione schmittiana del nemico e la necessità di agire su un confine «sempre sull’orlo della legislazione d’eccezione».

Al di là dell’ISIS

Se lo stesso Hollande rifiuta il termine «scontro di civiltà» è perché quel termine sta ad evidenziare una linea di demarcazione tra due interpretazioni molto differenti dello scontro in atto. Non è quindi un caso che Rivista Studio pubblichi un ritratto di Ahmed Aboutaleb intitolando «Moderato e musulmano»: sindaco di Rotterdam dal 2009 è uno dei pochi sindaci ad essere invitato alla Casa Bianca per prendere parte ad un vertice della lotta al terrorismo.

Per concludere, un’altra mappa interattiva, più generale sul terrorismo degli ultimi 10 anni: forse utile per ricordare che non c’è solo l’ISIS.

 

Immagine CC BY-SA di Giulio Andreetto da flickr


Commenta qui sotto e segui le linee guida del sito.