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Lo spiegato bene, spiegato bene

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Ormai è quasi diventato un meme, ma l’espressione “spiegato bene”, resa popolare dal Post, rivela alcune problematiche chiave del giornalismo contemporaneo. Le spiega, ovviamente bene, la testata LINK.

L’esigenza di scrivere degli articoli per fare il punto della situazione su un determinato tema, di scrivere uno “spiegone”, nasce in risposta a due tendenze molto diffuse nella stampa: da una parte la corsa a riportare le notizie per primi, a costo di correre il rischio di darle inaccurate, e dall’altra la volontà di riportare più opinioni e dichiarazioni possibili, per drammatizzare il dibattito. Di fronte a questa abbondanza di aggiornamenti, chi non si informa con regolarità rischia di rimanere spaesato. Queste persone costituiscono una nicchia di mercato che ha permesso lo sviluppo di alcune testate online, che hanno puntato su riassunti, notizie non tempestive ma verificate, e articoli di fact-checking. Due tipi di giornalismo che si basano su due modelli economici diversi: uno punta ad aumentare il numero di lettori, in modo da massimizzare i ricavi pubblicitari, e l’altro a fidelizzare il pubblico:

Il punto è che nel pieno della loro crisi economica più grande, i giornali tradizionali si sono messi all’inseguimento di (quasi) tutto quello che può generare “bei numeri” da presentare agli investitori pubblicitari, non disdegnando affatto per raggiungerli l’uso di trucchi e trucchetti che poco hanno a che fare con il consolidare una base solida di lettori fedeli, legati a una testata, appunto, da un patto di fiducia di lunga durata. Non un elemento da poco perché, proprio in questi anni, come noto, i giornali hanno dovuto ribaltare la loro architettura dei ricavi di fronte al netto declino di quelli da pubblicità, puntando su quelli provenienti direttamente dai lettori, in particolare con gli abbonamenti su digitale.

Così editori e giornalisti si sono trovati, molto più che in passato, a doversi misurare non solo con l’economia dell’attenzione a servizio degli investitori pubblicitari, ma anche con l’economia della fiducia centrata sulle singole persone. Non a caso anche in Italia, molti “spiegatori” oggi puntano per la loro sostenibilità economica soprattutto su abbonati e sostenitori, non semplici “clienti” paganti, ma persone che avvertono la necessità di dare un contributo economico al progetto (un modello di informazione) con cui sentono di essere solidali. Spiegare bene, e sottolinearlo mentre lo si fa, quindi è un modo per una testata di chiedere al lettore di stringere questo patto.

Non è però semplice “spiegare bene”. A parte l’ovvio rischio di millantare una imparzialità fittizia, gli “spiegatori” devono bilanciare completezza e sinteticità: una dicotomia che è stata affrontata in vari modi, per esempio fornendo la possibilità di leggere approfondimenti su temi specifici. In ogni caso,  conclude l’autore, “spiegare bene” le cose dovrebbe essere una caratteristica di tutto il giornalismo, e non la peculiarità di poche testate.


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