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L’opposizione interna a Putin

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Aleksandra Simonova su Dissent fa una recensione del libro del dissidente russo Budraitskis. Il tema sono i movimenti russi che fanno opposizione a Putin e le ragioni dei loro fallimenti.

Dissidents Among Dissidents: Ideology, Politics and the Left in Post-Soviet Russia è stato scritto prima dell’invasione dell’Ucraina, ma aiuta comunque a capire il perché dell’invasione russa e soprattuto del perché le opposizioni interne non siano riuscite a fermarla (e nemmeno prevederla). Budraitskis individua la causa delle mosse imprevedibili di Putin in politica estera in un paradosso interno al regime:

Budraitskis suggerisce che c’è un paradosso fondamentale della politica russa sotto Putin: il desiderio di essere sia dentro che fuori l’ordine geopolitico occidentale. Questo paradosso non era evidente all’inizio del mandato di Putin. All’inizio degli anni 2000, egli ha cercato di seguire lo stile diplomatico conciliante di Boris Eltsin […]. Ma alla fine Putin si è sentito umiliato da una gerarchia globale che continuava a essere dominata dalle norme e dagli interessi occidentali.

Dal 2014 questa maschera è caduta e ha fatto spazio alla Russkiy Mir (il mondo russo), una serie di azioni volte a stabilire la Russia come perno di un gruppo di stati dai valori condivisi, in opposizione all’Occidente. Budraitskis illustra altri paradossi, come il rapporto del regime verso il passato sovietico e la tensione tra liberismo in economia e il potere personale di Putin.

L’opposizione è rappresentata principalmente dall’intelligentsia progressista, come mai non è riuscita a sfruttare queste contraddizioni? Budraitskis ritiene che il fallimento politico dell’opposizione interna venga da ragioni culturali: chi combatte Putin non è legato da una piattaforma politica, ma da i modi di pensare, atteggiarsi, parlare. Gli intellettuali stessi indicano le differenze “antropologiche” tra loro e il popolino, alla battaglia politica si preferisce un paradigma morale. Questo porta all’impossibilità di sviluppare un pensiero alternativo a Putin che goda di coerenza interna e che possa raggiungere più strati della popolazione russa. Da questo nasce la diffidenza di molti cittadini russi verso gli intellettuali, diffidenza ricambiata da questi ultimi:

L’incapacità della maggioranza russa di partecipare alla politica di opposizione è spesso interpretata dall’intellighenzia come un problema di «homo sovieticus». Il termine peggiorativo è stato usato per descrivere i cittadini conformisti dell’Unione Sovietica, la cui passività di fronte al potere statale («schiavitù interiore») è perdurata nel periodo post-sovietico. È l’homo sovieticus, più che l’organizzazione del potere economico, politico e geopolitico all’interno del quale si trova la Russia, che impedisce alla Russia di muoversi verso una politica e una società civile più liberali.

In questo panorama desolante il regime non rimane fermo. Dal 2017 le leggi contro gli «agenti stranieri» sono diventate più stringenti, dal 2022 per essere definiti come tali non serve dimostrare dei legami finanziari, ma il solo essere «influenzati» dall’estero, cioè avere delle idee in dissenso a Putin.

«Politicamente, l’opposizione russa è completamente distrutta» è la conclusione di Budraitskis.


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