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Ottimismo sull’economia italiana

Ottimismo sull’economia italiana

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Sull’Huffigton Post Marco Fortis, docente di Economia industriale e commercio estero all’Università Cattolica e direttore della Fondazione Edison smonta il pessimismo sullo stato economico dell’Italia, portando un po’ di cifre che ribaltano il quadro a tinte fosche portato avanti in questi anni da varie forze politiche opposte.

Il pessimismo sull’economia italiana è andato molto di moda nei primi vent’anni del nuovo millennio ed ha certamente avuto le sue buone ragioni. In effetti, sull’arco dell’intero periodo e anche lasciando da parte l’anomalo 2020 caratterizzato dalla pandemia, l’Italia è stata tra i Paesi del mondo con la più bassa crescita del Pil dalla fine del secolo scorso in poi. Ciò ha alimentato, da un lato, la diffusa convinzione che l’intero ultimo ventennio sia stato un disastro per la nostra nazione. Dall’altro lato, ha diffuso e radicato uno storytelling molto negativo secondo cui l’Italia sarebbe ormai condannata a un irreversibile declino. Questi modi di vedere e queste rappresentazioni a tinte fosche del nostro Paese sono stati a lungo peculiari delle più variegate correnti di pensiero, magari connotate ideologicamente sugli opposti lati dell’iper liberismo e dell’iper statalismo ma convergenti nelle conclusioni

Secondo Fortis i numeri dimostrano che negli ultimi 5 anni le aziende italiane si sono dimostrate tra le più dinamiche in Europa e tra i paesi Ocse in termini di crescita della produttività industriale, export, surplus nella bilancia commerciale e perfino di ricerca e innovazione.

Di fatto, tutti i luoghi comuni sull’economia italiana sedimentatisi in tanti anni di cupo pessimismo sono stati letteralmente spazzati via dai progressi del quinquennio 2015-2019, in particolare dei suoi primi quattro anni. I numeri parlano chiaramente, ammesso che si voglia leggerli davvero.

Cominciamo dal luogo comune secondo cui le aziende italiane investono poco, perché nostre le piccole e medie imprese (“colpevoli” anche di essere a prevalente proprietà familiare, come se fosse un peccato mortale) avrebbero il “braccino corto” e sarebbero inadatte a competere nel nuovo scenario della globalizzazione. In realtà, le PMI sono da sempre il vero patrimonio dell’Italia (per intraprendenza, investimenti, innovazione, proiezione sui mercati mondiali) non un suo punto di debolezza, come invece ci ha sempre raccontato una certa vulgata. E, come abbiamo già sottolineato in precedenti interventi, è stato sufficiente negli ultimi anni varare per la prima volta dei provvedimenti sistematici a favore (e non contro) le imprese, come ad esempio il Piano Industria 4.0, per generare addirittura un autentico boom di investimenti. Basti pensare che gli investimenti fissi lordi totali in Italia sono cresciuti nel quadriennio 2015-2018 ad un tasso medio annuo del 3%, con un balzo enorme proprio nelle regioni dove ci sono più PMI, come il Veneto (+5,4% medio annuo, cioè quasi come la Cina, +5,8%!) o l’Emilia-Romagna (+4,4% medio annuo).

In particolare, la crescita degli investimenti fissi lordi nell’ambito specifico dell’industria manifatturiera (Figura 1) ha raggiunto un apice in Italia proprio negli anni di piena attuazione del superammortamento e di Industria 4.0, cioè il triennio 2016-2018: infatti, in tale triennio gli investimenti dell’industria manifatturiera sono aumentati in Italia ad un tasso medio annuo del 6,3%, con punte del 7,1% medio annuo nel Nord Est e addirittura del 9,1% in Veneto (terra d’elezione di quelle PMI famigliari tanto denigrate dai nostri pessimisti di professione).

Per quanto riguarda i soli investimenti fissi lordi in macchinari nell’industria manifatturiera, nel triennio 2016-2018, l’incremento medio annuo in Italia è stato del 6,8% contro il +3,8% della Germania. Nel 2018, il valore a prezzi concatenati 2015 degli investimenti in macchinari dell’industria manifatturiera italiana ha raggiunto un massimo di 44 miliardi di euro, cioè una cifra davvero notevole se paragonata ai 18 miliardi dell’industria francese e ai 58 miliardi della mega industria tedesca (con cui siamo alla pari in termini pro capite).

Non è nemmeno vero che le nostre imprese fanno poca ricerca e innovazione. Affermazione che si sente spesso fare sulla base dal dato aggregato che l’Italia ha una bassa percentuale di spesa in R&S sul PIL. Infatti, nei settori dove siamo forti e specializzati la nostra spesa in R&S è alta. Si prenda ad esempio la meccanica. In questo settore le nostre imprese hanno investito nel 2018 poco meno di 2 miliardi di euro in R&S e sono seconde in Europa solo alle imprese tedesche. In poco meno di un decennio la nostra R&S nella meccanica è cresciuta di quasi un miliardo di euro.

Fortis critica poi l’argomento che il nostro sistema imprenditoriale soffra di “nanismo”, individuando invece che nonostante un tessuto industriale prevalentemente composto da PMI la produttività media riesce a comunque ad essere mediamente superiore perfino a quella tedesca:

Quanto ai livelli della produttività stessa, un altro aspetto del tutto sconosciuto ai più è che nel settore manifatturiero italiano la presenza di un notevole numero di microimprese con meno di 20 addetti (imprese peraltro utilissime per il loro ruolo sociale e di supporto alle filiere) abbassa in modo abnorme la produttività media dando la falsa impressione che il nostro sistema produttivo nel suo complesso sia fragile. In realtà, se prendiamo la Germania come benchmark e se escludiamo le microimprese e l’industria dell’auto, possiamo constatare che tutte le categorie di imprese italiane hanno una produttività del lavoro più elevata delle corrispondenti imprese tedesche.

Lo dimostrano i dati strutturali di impresa dell’Eurostat relativi al 2018, anno culminante del progresso della nostra produttività, grazie allo straordinario shock positivo del Piano Industria 4.0. Infatti, la produttività delle piccole imprese manifatturiere italiane con 20-49 addetti (60.300 euro per occupato) è nettamente superiore a quella delle analoghe imprese tedesche (50.800 euro) e il divario a nostro favore è ancor più largo nel caso delle medie imprese con 50-249 addetti (77.900 euro per occupato le medie imprese italiane contro i 60.300 euro delle tedesche).

Non solo. Anche nel caso delle grandi imprese con 250 e più addetti, esclusa l’auto, la produttività manifatturiera media dell’Italia è più alta (95.900 euro per occupato) di quella della Germania (92.300 euro). E benché il numero e il peso delle grandi imprese in Germania sia molto più importante che in Italia, la produttività manifatturiera media dell’Italia di tutte le imprese da 20 addetti insù (80.600 euro per occupato) riesce ad essere più alta, seppure di poco, di quella della Germania (80.100 euro).

Insomma, fino a qualche anno fa i profeti di sventura potevano pensare di aver avuto ragione, ma da allora l’economia italiana ha inanellato una serie di risultati positivi uno dopo l’altro e il sorprendente aumento del PIL post pandemia non è che un felice proseguimento di questo trend, che non potrà che migliorare una volta varate le attese riforme del Governo Draghi.

 


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