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Quello che manca nel discorso sulla scuola

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Capita spesso di leggere critiche alla scuola italiana, che la accusano di essere poco selettiva e di avere abbassato la qualità della didattica, nel tentativo di non lasciare nessuno indietro e di ridurre le disuguaglianze sociali. Come scrivono Ricolfi e Mastrocola in un libro recente, ciò avrebbe ostacolato la formazione di una classe dirigente. Come precisa però Francesco Rocchi su Linkiesta, queste critiche mancano di prospettiva storica. Forse la scuola italiana è diventata effettivamente meno esigente nel tempo, ma in compenso ora riesce a fornire istruzione a molte più persone. Confrontare le competenze dei pochi e selezionati studenti di un tempo con i molti studenti di oggi significa commettere un pregiudizio di sopravvivenza, e ignorare i risultati compiuti nella lotta all’abbandono scolastico.

Per capire di cosa stiamo parlando, ricordiamoci che ancora nel 1984 si iscriveva alle scuole superiori soltanto il 55% degli studenti licenziati dalle medie (dati Istat). Il 45% degli studenti usciti dalla scuola secondaria di primo grado quell’anno, dunque, non è andato oltre la terza media, mentre un ulteriore 25% di quegli iscritti ha più tardi comunque abbandonato (15% del totale dei quattordicenni del 1984).

Di contro, oggi pressoché il 100% degli studenti esce dalle medie e si iscrive a una scuola superiore (dal liceo all’istruzione professionale).

Possiamo anche pensare che una scuola più selettiva crei una classe dirigente migliore, ma un semplice ritorno al passato non risolverà i problemi dei tanti che ne verranno esclusi, né quelli del resto del paese.

 

Possiamo anche dedicarci a una scuola fieramente e onestamente selettiva e dire che solo i più bravi hanno diritto a stare a scuola fino alla fine delle superiori: è una scelta perfettamente legittima.

Però poi dobbiamo essere consapevoli che quelli che terremo fuori dalla scuola non spariranno nel nulla: continueranno a essere concittadini, lavoratori, titolari di diritti e di doveri, solo che saranno costretti a esserlo con i pochi e stentati strumenti ricevuti prima di essere stati buttati fuori dalla scuola.

Se non troveranno lavoro perché mancano di competenze, dovremo occuparci della loro formazione; se non sapranno gestire i loro diritti e ottemperare ai loro doveri finirà che a spiegargli gli uni e gli altri sarà un poliziotto o un giudice; se finiranno per consegnarsi mani e piedi a un caporione populista, saremo tutti noi poi a dover ragionare con l’ascesa di politici disastrosi.

Immagine: Jean Delville, La scuola di Platone da flickr


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