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“Reddito di cittadinanza”: a 10 mesi dalla sua introduzione, un primo bilancio sugli effetti su lavoro e povertà

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Un’indagine sul reddito di cittadinanza pubblicata su Valigia Blu (che segue quella de Il Post di cui abbiamo parlato qui) esplora gli aspetti tecnico-amministrativi dello strumento economico-sociale approvato dal governo Conte I e gli effetti prodottisi, dalla sua entrata in vigore, nell’ambito della lotta alla povertà e alla disoccupazione.

Il cosiddetto “reddito di cittadinanza” (RdC) è attivo in Italia da circa 10 mesi. “Cosiddetto” perché, come ricostruito in un precedente articolo, la misura voluta dal Movimento 5 stelle non è in realtà un vero reddito di cittadinanza (che prevede un cambiamento radicale del modo di pensare la società, il welfare e il rapporto tra uomo e lavoro), ma una cosa differente e cioè un reddito minimo condizionato alla formazione e al reinserimento lavorativo.

Il provvedimento – approvato dal governo Conte I (sostenuto dalla maggioranza Movimento 5 stelle e Lega) – ha sostituto il REI (il Reddito di inclusione del governo Gentiloni che puntava al contrasto alla povertà), rafforzandolo e ampliandolo e prevedendo una parte connessa di politiche attive al lavoro prima non esistente.

Il Movimento 5 stelle ritiene questa misura un cardine della propria identità. Già alle elezioni politiche del 2013, i 5 stelle avevano inserito il reddito al primo punto tra i venti del programma per “per uscire dal buio”. Come abbiamo visto in un altro approfondimento, però, la sua conversione in legge – come il reddito è stato ideato e strutturato – ha ricevuto diverse critiche da enti e da soggetti che ogni giorno affrontano povertà e disagio sociale.

 


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