Un inviato del programma televisivo Le Iene è stato condannato per “violenza privata” per i modi aggressivi con cui aveva preteso nel 2015 di intervistare Guia Soncini, giornalista collaboratrice in passato di diverse testate e oggi autrice di una rubrica quotidiana sul sito Linkiesta (Soncini ha scritto lunedì della sentenza).
Abbiamo scritto spesso di come la buona e affidabile informazione sia un “servizio pubblico” fondamentale per le democrazie e le nostre società, e come questo implichi che andrebbero cercati convincenti ed efficaci modi perché sia incentivata anche da contributi pubblici.
Sabato sono circolate notizie su possibili tagli in Rai, per gestire le difficoltà economiche dell’azienda. La Rai è una cosa così eccezionale che tendiamo a non considerarla nelle analisi e nelle discussioni su cosa succede ai giornali.
Brian Morrissey è stato per nove anni presidente e direttore di Digiday, un sito che si occupa di informazione e riflessioni sui media e che è diventato uno dei più aggiornati su questi temi.
In una delle frequenti fasi di tensione tra il M5S e i giornali degli ultimi anni (tensione anch’essa attenuata di recente, come molte altre delle anomalie di quel partito), alcuni suoi esponenti minacciarono come ritorsione di approvare degli interventi legislativi per ridurre non solo i cosiddetti contributi diretti e indiretti ai giornali (quelli indiretti sono agevolazioni varie soprattutto al settore della carta stampata di cui beneficiano tutti), ma anche di abolire quella forma ulteriormente indiretta di contributo che sono le inserzioni pubblicitarie prescritte dalla legge per le comunicazioni da parte di enti e amministrazioni pubbliche: quelle più frequenti e familiari a chi sfoglia i quotidiani sono i bandi di gara pubblici, poi ci sono avvisi diversi che si ritiene corretto abbiano estesa pubblicità tra i cittadini e gli interessati e non restino confinati ai documenti amministrativi; e anche la pubblicazione delle sentenze processuali, che ha altre regolamentazioni ma che si riferiscono in molti casi sempre alla carta stampata.
Non è una questione nuova, quella delle possibili contraddizioni tra la comunicazione personale dei giornalisti e il loro ruolo di rappresentanti della loro testata, quando non ne sono i direttori.
Un ciclico dibattito sul “ricambio generazionale” sta venendo promosso nelle ultime settimane da Repubblica, a partire da una risposta a un lettore di Michele Serra.
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