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La creazione letteraria secondo Ursula K. Le Guin

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Sulla base della raccolta di saggi I sogni si spiegano da soli (SUR 2022, traduzione di Veronica Raimo), in un articolo pubblicato sul Tascabile, Matteo de Giuli ci introduce all’opera e al pensiero di Ursula K. Le Guin illustrando il suo rapporto con il mestiere di scrivere e con la fantascienza.

Se c’è un processo del tutto arcano e misterioso, e che non può essere riassunto in una formula, è quello che porta le idee di chi scrive ad attraversare le zone oscure della propria mente. Quello stesso movimento indecifrabile permette poi di liberare energie sopite e, in definitiva, di complicare le intuizioni di partenza: il pensiero diventa letteratura. Troppo spesso pensiamo ai libri di fantascienza invece come a narrazioni premeditate, meccanismi a orologeria in cui tutto è legato da una salda coerenza, dove ogni cosa deve spiegarsi e tenersi dall’inizio alla fine senza alcuna ambiguità inestricabile. Ma questo tipo di libri, che all’interno del genere esistono, sono i romanzi e i racconti più didascalici, di maniera, quelli meno interessanti. Le Guin dimostrò invece che nel fantastico, nella costruzione quindi di un mondo nuovo, non è necessario mantenere il controllo su tutto, e che dopo aver percorso il caos fecondo della creazione letteraria si può scegliere di non abbandonarlo, ma di abitarlo.

L’idea di letteratura fantastica di Le Guin è fondata sui concetti di caos, esperimento ed esplorazione: la scrittrice conduceva esperimenti mentali in cui costruiva mondi paralleli da esplorare, riportando poi i risultati di tale esplorazione nelle sue opere; ma lo faceva senza garantire coerenza, permettendosi dunque di rivedere, correggere e perfezionare la propria produzione.

Se la sorgente della scrittura è misteriosa, e se è vero che non ci sono regole esatte per scrivere bene, è vero anche che ogni storia deve invece, a un certo punto, darsi una struttura che incanali l’ispirazione. E Le Guin in questo aveva un metodo. Immaginava mondi paralleli, uguali ma diversi dal nostro, con l’atteggiamento di una scienziata che cambia qualche variabile nel proprio laboratorio e attende poi la risposta del sistema. Prendeva in mano il pianeta Terra, le storture delle società, i conflitti degli esseri umani, e iniziava a chiedersi: cosa succederebbe se la natura di uomini e donne fosse identica a quella che conosciamo e differisse solo per questo piccolo particolare qui? E se invece aggiungessi questo comportamento innato al posto di quest’altro, come si unirebbero allora le classi, quali condizionamenti sociali nascerebbero, cosa succederebbe alle vite degli individui, alle loro quotidianità? Quali problemi non ci sarebbero più e quali altri nascerebbero?


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