A calcolare l’impatto del lavoro degli stranieri sull’economia italiana è la Fondazione Leone Moressa, nel Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione. L’Espresso ne riporta dati, conseguenze e conclusioni in un articolo di Simone Alliva.
Questo non è un tema da affrontare con argomenti sentimentali o retorici. Non c’entrano la solidarietà, la compassione, la giustizia. Anche, certo. Ma prima ancora c’entra la ragione. L’inserimento dei cittadini stranieri nella comunità italiana è interesse di tutti. Sono il motore di questo Paese. Inceppato per anni, da discussioni su porti chiusi, blocchi navali, possibilità di dare ai loro figli la cittadinanza.
L’Italia multietnica e il suo valore non è teoria di sinistra ma un dato di fatto censito persino dal rapporto Ocse 2021 che ha evidenziato come «i migranti contribuiscono in tasse più di quanto ricevono in prestazioni assistenziali, salute e istruzione». Siamo un Paese di immigrazione, con oltre cinque milioni di stranieri residenti (Istat, 2020), in valore assoluto dopo la Germania (che ne ha oltre 10 milioni), il Regno Unito (con oltre 6 milioni) e con un numero di presenze analoghe a quelle francesi e spagnole. Per l’Italia il loro contributo all’economia vale quasi 144 miliardi, il 9 per cento del Pil che è tornato a crescere e così l’occupazione straniera. Il tasso di occupazione degli stranieri è oggi al 57,8 per cento, ancora leggermente inferiore rispetto a quello degli italiani (58,3 per cento). La maggior parte di questa “ricchezza” si concentra nel settore dei servizi, ovvero il comparto che registra il maggior numero di occupati stranieri. Se, invece, osserviamo l’incidenza per settore, i valori più alti si registrano in agricoltura (17,9 per cento), ristorazione (16,9) ed edilizia (16,3).
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