Le politiche industriali italiane nel tempo sono molto cambiate, come pure le scelte degli imprenditori italiani. Una sintesi del grande cambiamento ancora in corso è stata pubblicata su T.P.I. da Enrico Mingori.
L’Olivetti, il disastro dell’Ilva, la Fiat e la Pirelli il fior fiore della manifattura italiana e il suo declino vengono descritti da Mingori che ritiene colpevolmente cieca la politica italiana.
Quella della Olivetti è una parabola discendente che racconta molto del declino della grande industria del nostro Paese. Gli occupati nel settore secondario, che nel 1977 rappresentavano secondo l’Istat il 38% del totale, oggi oscillano intorno al 20%. Si dirà: è andata così un po’ per tutti, nell’Europa occidentale sempre più “terziarizzata”. E in effetti è vero che è l’intera industria del Vecchio Continente ad aver dismesso o delocalizzato molte delle sue produzioni, avendo lasciato, ormai vent’anni fa, che la Cina diventasse la “fabbrica del mondo”: in Italia il manifatturiero è sceso dal 19% del Pil nel 1992 al 14% nel 2022, ma anche in Germania e in Francia si è registrato un calo simile, rispettivamente dal 23 al 18% e dal 16 al 9% (dati della Banca Mondiale). Siamo in buona compagnia, insomma. Tuttavia alle nostre latitudini la caduta è stata più rumorosa che altrove. Perché ha visto crollare dei colossi. Emblematico è il caso dell’automotive, l’industria manifatturiera per eccellenza: fino all’inizio degli anni Novanta eravamo terzi in Europa per numero di vetture assemblate, dietro solo a tedeschi e francesi; adesso siamo scivolati al settimo posto, superati non solo da Spagna e Regno Unito ma pure da Repubblica Ceca e Slovacchia.
Secondo Mengori il crollo degli investimenti pubblici e privati è diretta conseguenza di una politica del laissez faire.
E pensare che proprio dalla culla del capitalismo, gli Stati Uniti, arriva forte e chiaro il messaggio che è ora di invertire la rotta. Che cioè la globalizzazione è finita, o quantomeno cambiata. E che dunque occorre riportare in casa propria le fabbriche, e finanziarle con robuste iniezioni pubbliche. L’Inflaction Reduction Act varato dall’Amministrazione di Joe Biden vale 740 miliardi di dollari: denaro pubblico pompato alle imprese per stimolare la ricostruzione di un’industria all’avanguardia degna di una superpotenza mondiale. E l’Unione europea ha risposto, oltreché con il Next Generation Eu, con il Net Zero Industry Act, un pacchetto analogo da 600 miliardi di euro.
L’articolo si conclude con uno sguardo alle realtà italiane che provano a percorrere nuove strade.
Intanto, sul fronte interno, si registrano incoraggianti passi verso il futuro da parte di un manipolo di aziende illuminate, come Lavazza, Essilor Luxottica e Lamborghini (quest’ultima controllata dai tedeschi di Audi), che hanno deciso di sperimentare la settimana lavorativa di quattro giorni. Chi l’ha già testata all’estero ne ha ricavato risultati positivi non solo in termini di soddisfazione tra i dipendenti ma anche dal punto di vista della produttività. In un mondo che cambia chi si ferma è perduto.
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