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Sotto pressione – Epica del sommozzatore di alto fondale

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Le profondità dell’oceano sono mondi ancora sconosciuti, come racconta un articolo de Il Tascabile a firma Silvia Kuna Ballero.

L’articolo sottolinea quanto poco conosciamo delle profondità oceaniche, paragonando la scoperta degli oceani all’esplorazione dello spazio. Nonostante le difficoltà, per alcuni lavorare sott’acqua è un privilegio.

Esplorarle, così come esplorare l’immensità dei cieli, non è per tutti: siamo creature affamate d’aria, nate e cresciute in mezzo all’aria e abituate a esserne circondate. Per alcuni, però, esplorare l’oceano e lavorare sott’acqua è un privilegio e una meraviglia, oltre che una fatica.

Il mestiere di sommozzatore è piuttosto rischioso e l’operatore è esposto ai danni che può provocare al fisico la pressione sottomarina come traumi all’orecchio interno ed esterno e ai seni paranasali causati da squilibri di pressione oppure gravi pericoli legati a una risalita troppo rapida.

Quando un sommozzatore risale troppo rapidamente, i gas inerti disciolti nel sangue e nei tessuti formano bolle, simili a quelle di una bottiglia di acqua frizzante appena aperta. Queste bolle possono causare embolie, con sintomi come fiato corto, dolore alle articolazioni e all’addome, e nei casi più gravi, paralisi e morte. La decompressione è un processo critico per i sommozzatori. La gravità della malattia da decompressione dipende dalla velocità di risalita, dal tempo di permanenza alla profondità e dalla profondità stessa. La pressione relativa, ossia il rapporto tra la pressione esterna e quella interna al corpo, è fondamentale per evitare la formazione di emboli.

Ma non tutte le immersioni sono uguali:

Ci sono diversi modi di classificare le attività dei sommozzatori, a seconda delle profondità raggiunte e dei tempi di permanenza; la principale distinzione è comunque tra basso e alto fondale, se le profondità di lavoro sono rispettivamente inferiori o superiori a 50 metri. Lavorare in alto fondale implica trovarsi a pressioni molto alte (più di 5 atmosfere): questa attività richiede un addestramento particolare che va seguito in aggiunta a quello standard di basso fondale, da completarsi in strutture specializzate a costi non indifferenti (dai ventimila ai trentamila euro a seconda del centro).

Per immergersi a grandi profondità bisogna fare attività “in saturazione”.

Le certificazioni rilasciate per lavorare in alto fondale, valide in tutto il mondo secondo gli standard della International Marine Contractors Association, sono quelle di closed bell diver, così chiamate perché per raggiungere le profondità richiesta è necessario discendere dalla superficie in una campana chiusa (“closed bell”) a tenuta stagna che può mantenere al suo interno una pressione superiore a quella dell’ambiente subacqueo circostante. Queste immersioni sono definite in saturazione perché sfruttano il fatto che, una volta che la concentrazione nei tessuti di gas inerti (come l’azoto) raggiunge un certo valore, i tessuti si saturano e non viene accumulato altro gas. Perciò, la fisiologia delle immersioni in saturazione è diversa da quella delle immersioni di altro tipo: lavorando in saturazione, la procedura di decompressione dipende solo dalla quota raggiunta.

L’articolo si conclude evidenziando l’importanza della conoscenza e della preparazione per chi lavora in questo campo, sottolineando che, nonostante i rischi, l’esplorazione subacquea continua ad affascinare e attrarre molte persone.


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